ASSOCIAZIONE
MAZZINIANA ITALIANA onlus
SEGRETERIA
NAZIONALE
Prot. SN/03/2017/DN Ai Componenti
la DIREZIONE NAZIONALE
Modigliana, 05
luglio 2017 Ai Presidenti delle Sezioni A.M.I.
e p. invito a: Ai Probiviri e Revisori Conti
Rappresentanti A.M.I. in Enti federati : CNDI e CIME
Dott.
Claudio Desideri Condirettore de l’A.M.
Verbale della riunione della
DIREZIONE NAZIONALE
a MILANO,
sabato 21 gennaio 2017
La Direzione
Nazionale si riunisce sabato 21 gennaio 2017 ad
ore 8 in Ia e ad ore 15,00 in IIa convocazione a MILANO - Sala
Facchinetti (g.c.)c/o la Società Umanitaria in Via San Barnaba, 48
per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno:
Adozione
dell’odg
Approvazione
verbale seduta precedente
Comunicazioni
del Presidente
Dibattito
politico istituzionale
Varie ed
eventuali (ratifica nuove adesioni)
La riunione è estesa, su invito, ai
Probiviri e Revisori Conti, Rappresentanti A.M.I. in Enti federati
CIME e CNDI, a Claudio Desideri – condirettore l’A.M.
Sono presenti per
la DN: Mario DI NAPOLI, Massimo BERTANI, Lorenzo BRUNETTI,
Giorgio BECCACECI, Rosella CALISTA, Franco CALZOLARI, Pietro CARUSO,
Romano CAVAGNA, Michele FINELLI, Paolo GUERRIERO, Paolo LOMBARDI,
Lamberto MAGNANI, Pasquale MINIERO, Angelo MORINI, Francesca PAU,
Chiarella PENNUCCI, Nicola POGGIOLINI, Fulvio SALIMBENI.
Assenti giustificati
D.N.: Maurizio CATANIA, Andrea GIARDI, Antonella GREGGI, Benito
LORIGIOLA, Agostino PENDOLA, Laura SIPALA.
Assenti Segretari
Aggiunti: Maria Pia ROGGERO.
Presenti Revv.CC.
effettivi: Alessandro AUGURIO, Carlo SIMONCELLI.
Assente
Revv.CC.effettivo: Stefano COVELLO.
Presenti Collegio
Probiviri Effettivi: Silvio POZZANI, Alfonso RODELLA.
Assente Collegio
Probiviri Effettivi: Rino CASADEI.
Presenti Collegio
Probiviri Supplenti: Cristina VERNIZZI.
Assenti Collegio
Probiviri Supplenti: Gennaro ESPOSITO.
Presenti Revv.CC.
Supplenti : NESSUNO.
Assenti Revv.CC.
Supplenti : Nora CONTEDINI, Franco FEDERICI.
Presente rappresentante nominato al
C.I.M.E.: Milena MOSCI.
Inoltre presenti
presidenti o rappresentanti delle seguenti sezioni:
Brescia,
Cagliari, Gallarate, Gorizia, Livorno, Milano, Monza, Piombino,
Rimini, Treviso, Trento, Bologna,
Varese
(in via di
costituzione)
Presiede : Mario
DI NAPOLI
Verbalizza :
Chiarella PENNUCCI
p.1) Viene messo in
votazione l’odg. L’ordine del giorno viene adottato
all’unanimità.
p.2) Viene messo in
votazione il verbale della seduta precedente che viene
approvato.
p.3) Comunicazioni
del Presidente
Introduzione ai
lavori
Il Presidente apre il suo discorso anticipando un primo bilancio
positivo: l’impegno di pubblicare il volume “Storia
dell’Associazione”, di scoprire la lapide che grazie all’impegno
degli amici della sezione di Milano è stata affissa al Museo del
Risorgimento ed avviare anche una riflessione sullo stato della
repubblica. Al Presidente farebbe piacere che l’odierna iniziativa
sia replicata perché l’opera della sua storia dell’AMI
meriterebbe di essere presentata almeno in ogni regione.
Il Presidente è abbastanza persuaso che ci possa essere un
interesse, non solo del mondo accademico, a discutere della storia
dell’AMI come di una componente essenziale della storia della
cultura laica nel secondo dopoguerra.
Come ogni volta che veniamo a Milano, la sezione, che rappresenta la
culla dell’Associazione, ci ospita e questo è motivo di grande
soddisfazione per tutti. Mi piace inoltre
Il Presidente sottolinea che il comitato regionale è stato
costituito anche in Lombardia rappresentando quindi un ulteriore
tassello che conferma la vitalità dell’Associazione e la volontà
di lavorare assieme.
Prima di procedere con le sue comunicazione il Presidente (anticipa
il p.5) e da la parola al Segr.Naz.le per la ratifica di nuove
domanda di adesione all’AMI da parte di nuovi iscritti che
costituiranno la nuova sezione di Varese.
Le domande vengono accettate e viene Ratificata la nuova sezione di
Varese, dal momento che la Segr.Naz.le avrà ricevuto il verbale di
costituzione della sezione con le firme dei soci fondatori, questo
per accelerare i tempi. L’Assemblea APPROVA.
Mario di NAPOLI
Il Presidente ritiene opportuno fare il punto sulle prossime
iniziative ed alcune riflessioni sull’esito referendario di
dicembre.
Ricorda gli impegni per il 2017: partecipazione alla manifestazione
federalista (Roma il 25 marzo) ed impegno di tenere, a lato
dell’evento, una nostra iniziativa che ricolleghi i 60 anni dal
Trattato di Roma allo spirito della Giovine Europa; tale iniziativa è
stata avviata con il “Decimo colloquio mazziniano”, è un tema
centrale che unisce politica e società.
Il Presidente a questo proposito riterrebbe opportuno redigere un
numero speciale de “Il Pensiero Mazziniano” con una sezione di
articoli di approfondimento.
Il Presidente ricorda, inoltre, che sono stati programmati: a giugno
un viaggio in Francia nell’ottantesimo del martirio dei Fratelli
Rosselli ed ad aprile un campus giovani.
Affronta una riflessione sotto due punti di vista su quella che è
stata la vicenda del referendum del 4 dicembre: quello che è stato
il ruolo dell’Associazione rispetto a questa vicenda che, secondo
lui, ha alimentato negli ultimi mesi alcune contrapposizioni
superflue; il percorso successivo delle nostre istituzioni, che è
ancora molto incerto e problematico.
Sottolinea che l’Associazione Mazziniana non è un partito
politico, non è un movimento politico, e, al tempo stesso, non è
neanche un istituto di studi storici.
Fin dalla fondazione l’Associazione Mazziniana ha scelto di vivere
una condizione che deriva dall’esigenza di unire il passato e il
presente verso il futuro confrontandosi con i temi dell’attualità.
Nel 2006 l’Associazione ha preso delle posizioni molto chiare sul
referendum costituzionale che, a quell’epoca, sottoponeva al voto
la riforma del Centro-destra.
Il Presidente crede che temi come quelli della Costituzione
travalichino l’aspetto della competizione tra i partiti e quindi
non ci sia motivo di censurarsi o di non prendere posizione su
questo.
Il congresso che si è tenuto a novembre a Terni, del resto, votò
una mozione congressuale con valutazioni fortemente critiche nei
confronti della riforma, che già a quell’epoca si era delineata
nei suoi contorni.
II Presidente ritiene però che ci sia qualche valutazione e forse
anche auto-critica da fare, e qualche correttivo da introdurre nell’
Associazione.
E quindi noi dobbiamo, in un certo senso, lasciarci alle spalle
queste contrapposizioni facendone tesoro per il futuro. Pur essendoci
nell’Associazione un orientamento maggioritario per il “No al
referendum”, è esistita anche una forte componente per il “Sì”,
il che è legittimo, perché l’Associazione non ha mai preteso di
dare un’indicazione di voto.
A questo proposito forse c’è stato anche un errore di
comunicazione, il Presidente spiega che forse lui stesso possa aver
usato qualche parola che ha accentuato una posizione e può essere
stata interpretata come indicazione di voto, ma nessuno ha mai
ritenuto che per essere iscritti alla Mazziniana bisognava votare in
un certo modo e, fintanto che lui sarà presidente, questo non
avverrà mai.
Al tempo stesso, però, in sede di congresso o anche in sede di
direzione, questa posizione, che pure è esistita ed esiste
nell’Associazione, non ha avuto molta voce e questo fa interrogare
il Presidente, perché significa che la comunicazione interna
dell’Associazione ha delle lacune, se una parte così consistente
della base non arriva a far sentire il peso della sua voce agli
organismi di direzione nazionale.
Il Presidente spiega come a lui sembra che qualche volta, soprattutto
nelle comunicazioni su internet, il libero dibattito sia qualche
volta un po’ trasceso e questo è stato, purtroppo, un po’
l’andamento di tutta la campagna elettorale.
Probabilmente perché si è voluto, sia da parte dei sostenitori che
degli oppositori di questo referendum, caricare il voto referendario
di aspettative molto superiori rispetto a quella che ne era la
sostanziale materia. Abbiamo avuto un fronte del “Sì” che ha
sostenuto, con lo slogan “Basta un sì”, che sarebbe bastato un
sì perché l’Italia diventasse un paese moderno e abbiamo avuto
dai sostenitori del “No” l’idea che il “Sì” avrebbe
portato la dittatura in Italia.
Entrambe queste posizioni erano evidentemente fuori fase.
E quindi noi, secondo il Presidente, dobbiamo prendere atto
dell’opportunità di non farsi spingere a questo tipo di
semplificazioni, che hanno natura propagandistica, ma che lacerano il
tessuto connettivo del Paese.
Noi abbiamo ricevuto da questo referendum un dato molto positivo:
l’elevato tasso di partecipazione popolare, indipendentemente dal
voto.
Quello però che a questo punto vorrebbe sottolineare è per il
post-referendum.
Renzi deve porsi il problema della lettura della società e della
conferma del suo forte distacco, perché se è pur vero che il 40% ha
votato a favore, il 60% ha votato contro. Il che dimostra che una
riflessione in più su cosa sia la conoscenza della società ai
vertici dello Stato evidentemente non c’è.
L’altro punto è che per il combinato disposto di una riforma
elettorale, che era fortemente collegata soltanto all’esito
positivo di questo referendum, oggi però c’è un dato di fatto:
oggi noi viviamo una condizione di democrazia bloccata, oggi il
potere democratico non si può esprimere, perché non c’è, come il
Capo dello Stato ha più volte richiamato, una legge elettorale
applicabile. Ora noi viviamo una condizione in base alla quale, per
una serie di circostanze che si sono intrecciate, l’esercizio della
sovranità popolare oggi è sospeso.
In linea teorica, nulla impedirebbe al Capo dello Stato di sciogliere
le Camere e di andare a votare e di eleggere un Senato con una legge
elettorale e una Camera con un’altra legge elettorale.
La Corte Costituzionale ha rimandato la sua sentenza sull’Italicum,
perché evidentemente non sapeva quale Costituzione fosse vigente, è
evidente che l’Italicum è più o meno incostituzionale se c’è
una costituzione o un’altra costituzione.
Paradossalmente, con la Costituzione con cui il Senato resta con una
legge elettorale che è quella, a sua volta, prodotta dalla Corte
Costituzionale con il Consultellum, oggi si potrebbe anche arrivare a
concludere che l’Italicum sia costituzionale, perché consegnerebbe
una Camera fortemente maggioritaria, ma manterrebbe un Senato più
rappresentativo e quindi, in linea teorica, rispetto alle precedenti
sentenze, verrebbero meno alcuni criteri che hanno fatto definire
incostituzionale il Porcellum.
Salvo che la Corte arrivi ad affermare che l’Italicum è
incostituzionale perché disomogeneo.
Tale fatto, da un punto di vista politico è affermabile ma, da un
punto di vista della giustizia costituzionale, chiamando in causa un
parametro che non sta nella Costituzione, ma in un’altra legge
ordinaria, lascia alcuni dubbi al Presidente.
Al momento comunque resta il fatto che c’è stata l’esigenza di
costruire un governo, che può essere di transizione, ma può essere
anche di fine legislatura.
Secondo il Presidente esiste un’imminente scadenza: la scrittura di
una nuova legge elettorale. Ma scrivere una nuova legge elettorale è
un’impresa titanica.
Sin dalla prima applicazione del Porcellum, si parlava di riforma
della legge elettorale giudicandolo inadeguato. Questo vuole che è
un tema molto complicato.
L’obiettivo principale della legge elettorale è garantire un punto
di equilibrio tra rappresentatività e governabilità. Quindi, in
astratto, noi potremmo aprire un dibattito accademico e cercare qual
è la miglior forma di governo possibile, come nel famoso concorso in
cui Melchiorre entrò e rispose “la forma repubblicana”.
Qual è il miglior sistema elettorale per
l’Italia? E potremmo fare dotte disquisizioni e valutare quale sia
il sistema più adatto. Questo però non fa i conti con il fatto che
ci vuole un parlamento, eletto col Porcellum e quindi fortemente
squilibrato, che poi questa legge la deve approvare. E da qui
l’esigenza di ciascun partito politico o gruppo parlamentare che
sia non della ricerca di quale sia la migliore legge elettorale per
il Paese, ammesso che sia possibile ricavare ciò, ma di quella che
più conviene al proprio partito politico per vincere le elezioni o,
comunque, avere un determinato numero di seggi. E questo fa parte del
gioco democratico. La legge elettorale proporzionale in Italia fu
introdotta soltanto nel 1919, dopo la Prima Guerra Mondiale; ci volle
la guerra per convincere il parlamento, eletto fino all’epoca sulla
base del sistema uninominale, ad accettare il sistema proporzionale.
Cioè un parlamento che si suicidava solo davanti a una simile
tragedia. Quindi, non è passeggiata quella di arrivare a una legge
elettorale.
Noi dell’Associazione Mazziniana dobbiamo vigilare su questo
processo che si aprirà a giorni e che si sarebbe già dovuto aprire,
perché questa condizione di sospensione della democrazia, in cui noi
oggi viviamo, è di una gravità inaudita; il popolo non può essere
chiamato alle urne.
Questa situazione dovrebbe essere sanata nel più breve tempo
possibile; avrebbe potuto esserlo anche prima della sentenza della
Corte Costituzionale, se le forze politiche avessero avuto un
sussulto di serietà: sarebbe stata la risposta di un parlamento e di
una classe politica che recuperava le sue responsabilità.
È prevalsa invece una scelta di attesa. Non sappiamo quando la
situazione si risolverà, non sappiamo se la sentenza della Corte
diventa auto-applicabile o se, invece, avrà bisogno di un’ulteriore
elaborazione e comunque il tema è aperto, tanto che comunque questa
legislatura, che dopo il referendum sembrava destinata a breve
durata, oggi tutti quanto pensano che arriverà alla fine della
durata.
Secondo il Presidente, questa legislatura doveva finire pochi mesi
dopo essere nata, perché avendo prodotto un parlamento sballato e
ingovernabile, meno durava e meglio era, nel senso che si sarebbe
dovuto votare, come del resto è stato fatto in Grecia e in Spagna,
pochi mesi dopo. Invece in Italia noi abbiamo questo mito, perpetrato
anche da certe interpretazioni, del ruolo del Presidente della
Repubblica che sarebbe il garante del fatto che la legislatura debba
arrivare al suo termine naturale, come se l’interesse generale del
Paese avesse questo dogma. Quando invece è vero l’esatto
contrario, ossia che il potere di scioglimento, in capo al Presidente
della Repubblica, sentiti i Presidenti delle Camere, sta proprio
nell’individuare il momento in cui è necessario ristabilire la
corrispondenza tra corpo elettorale e rappresentanza parlamentare.
Ma il punto era sempre quello, che non si poteva sciogliere perché
non c’era la legge elettorale che avrebbe corretto e quindi siamo
entrati in un pieno circolo vizioso.
Ora noi dobbiamo vigilare perché si arrivi a una legge elettorale
che garantisca, appunto, quel punto di equilibrio tra rappresentanza
e governabilità e sani quella che è una vera e propria ferita che è
stata inferta al circuito democratico con la legge elettorale del
Porcellum che, di fatto, realizzava quello che diceva Berlusconi,
cioè “Ma cosa ci sono a fare i parlamentari? Basta il capogruppo
che vota per tutti.”
Perché una legge concepita in quel modo, con liste di candidati
praticamente bloccate equivale a formulare questo tipo di parlamento.
Esiste poi un secondo tema su cui, secondo il Presidente, noi
dobbiamo intervenire:
il Paese ha bisogno ancora di riforme e questo è un tema che non si
può ovviare, su cui dobbiamo fare una riflessione e valutare
proposte anche per trovare strade diverse.
Ci sono, ad esempio, moltissime riforme che possono essere fatte
senza toccare la Costituzione.
Secondo il Presidente, uno dei difetti tecnici del progetto di
riforma costituzionale è che conteneva tutta una serie di norme
relative al governo in parlamento che non avevano bisogno di stare
nella Costituzione, potevano essere inserite nei regolamenti
parlamentari. Circa il Titolo V, il CNEL non era l’elemento chiave
della riforma, atteso che, in teoria, il CNEL andrebbe difeso perché,
almeno in astratto, è un’istituzione valida, poi che non abbia
funzionato è un altro discorso. Il Titolo V è una situazione che,
indubbiamente, andava regolata e quindi almeno quella parte della
riforma dovrebbe essere recuperata in una successiva legislatura.
Quello, però, che sembra il punto chiave è che, evidentemente,
questo esito referendario fa fortemente dubitare di tornare a
proporre modifiche così consistenti della Costituzione sulla sola
base dell’articolo 138. E in un certo senso dà valore in parte
all’idea che noi in passato abbiamo sostenuto che ci voglia
un’Assemblea Costituente quando si vuol fare una riforma così
ampia della Costituzione, perché è difficile affidare all’articolo
138 il meccanismo del voto.
Il Presidente conclude con una riflessione molto precisa sul discorso
referendario.
Quando la Costituente ha inserito nell’articolo 138 la norma del
referendum era stato detto che se non si raggiungeva la maggioranza
dei due terzi, si poteva ricorrere al referendum. Questa norma cosa
voleva dire? Raggiungete a tutti i costi la maggioranza dei due
terzi, non osate toccare la Costituzione se non avete raggiunto la
maggioranza dei due terzi. Questo è il senso della norma del 138.
Perché i costituenti erano ben consapevoli che quando norme così
complicate e delicate, come quelle costituzionali, fossero state
sottoposte a referendum, si creava soltanto il caos, perché non si
può pretendere che i cittadini decidano con un “sì” o con un
“no” centomila cose diverse.
L’errore di fondo è questo.
Che il referendum costituzionale era un’opportunità rarissima –
invece siamo già alla terza volta - da prendere in considerazione
davanti a un parlamento che ignorava quella che era un’indicazione
precisa del Costituente di raggiungere la maggioranza dei due terzi,
perché una maggioranza dei due terzi significava maggioranza e
opposizione, cioè un consenso accertato nel Paese. Quando non si ha
la maggioranza dei due terzi, buttare la cosa sul popolo comporta dei
rischi notevoli anche legati a motivi contingenti di cui l’analisi
sarebbe complicata. Ma questo era lo spirito del Costituente.
Mentre invece, da un po’ di tempo a questa parte, nel dibattito
costituzionalista si dice “Facciamo la riforma, poi viene il popolo
e l’approva” e quindi il crisma popolare porta a “Tutto va
bene”. Così come anche oggi l’Italicum; si dice che è vero che
non c’è la maggioranza, ma poi si fa il ballottaggio. Al
ballottaggio il popolo vota e quindi dà comunque il crisma della
legittimazione.
Queste sono tutte dimostrazioni di una classe politica che ha paura,
si sente delegittimata e cerca la legittimazione all’esterno di se
stessa per sfuggire dalla proprie responsabilità. È lo stesso
comportamento di un Partito Democratico che si è affidato a Renzi, o
ai suoi predecessori, con primarie aperte a tutti, una cosa
inammissibile, perché un partito è composto dagli iscritti e quando
si rivolge a tutti, vuol dire che nell’essere partito si sente
talmente povero, debole e delegittimato, da dover ricorrere ad altri.
Sono tutte forme apparentemente democratiche e di grande apertura, ma
sostanzialmente di prova di debolezza e di fuga dalle proprie
responsabilità di assumere delle decisioni e di portarle fino in
fondo.
Infine il Presidente sottolinea che anche la riforma più giusta
della Costituzione non andava fatta da questo parlamento, perché un
parlamento che già ha difficoltà a fare un governo e che sta in
piedi malamente era proprio difficile che raggiungesse la maggioranza
necessaria. Questa legislatura meno durava e meglio era dall’inizio.
Sarebbe stato meglio che si fosse votato subito dopo l’esito
elettorale, facendo un breve governo che faceva la legge elettorale e
si votava alla fine del 2013, tranquillamente, come hanno votato in
Grecia e in Spagna.
Comunque il Presidente ritiene che dobbiamo far tesoro di questa
esperienza per una maggiore collegialità, partecipazione e
condivisione delle idee all’interno dell’Associazione, evitando
polemiche che spesso, a suo parere, sono state un po’ troppo
condizionate dal clima generale, mentre invece noi, come Mazziniani,
dobbiamo distinguerci sempre dal clima generale.
P.4) Dibattito
politico istituzionale
Eros PRINA. Inizia il suo intervento con la lettura di
quanto inviato il 24 ottobre scorso al “Corriere” dopo aver letto
l’articolo pubblicato il 19 ottobre dal titolo “Meno contratti
stabili e più licenziamenti”.
“Confortante leggere che le uscite per giusta
causa o giustificato motivo soggettivo sono in crescita del 28%, da
36.000 a 46.000, grazie alla introduzione del Jobs Act, una svolta
che rappresenta un implicito riconoscimento per i lavoratori
responsabili e consapevoli non solo dei propri diritti ma anche dei
loro doveri. Altro conforto è stato
l’apprendere in questi giorni che sia i “furbetti del
cartellino”, sia i finti invalidi vengono licenziati in virtù
della vigente Riforma della Pubblica Amministrazione, nota come la
Riforma Madia. Mi piace ricordare, in proposito, che una delle mie
due comunicazioni al Congresso dei Dottori Commercialisti del 1970
presso l’EUR - la prima era titolata “Le strtuture obsolete del
sistema bancario italiano”- la seconda, sulla quale mi intrattengo,
era titolata “Il problema dei problemi italiani ovvero la riforma
burocratica”. Una riforma invocata e
perseguita da decenni la cui attuazione basterebbe da sola a
illuminare l’operato di un governo. Non intendo, tuttavia, sminuire
la valenza della legge destinata al sistema
produttivo privato, nota con il nome di Jobs Act i cui effetti
positivi, apprezzati anche dagli investitori stranieri, sono in
continuo seppur lento miglioramento.
L’impronta che caratterizza queste due
riforme è il rispetto dei doveri imposto sia ai datori di lavoro sia
ai lavoratori, con la conseguente sterilizzazione della pervicace
difesa che le forze sindacali e una certa componente della
magistratura hanno impugnato per decenni a sostegno incondizionato
del diritto al posto di lavoro, ignorando, appunto, i rispettivi
doveri. E noi Mazziniani, sensibili per scelta, tradizione ed
ispirazione al valore de “I doveri dell’uomo” dovremmo essere i
più qualificati per valutare l’importanza delle due riforme dianzi
commentate.
Però ritengo che anche la Riforma del Terzo
Settore meriti un lodevole apprezzamento perché è rivolta al
riconoscimento e al potenziamento dell’operosità e dell’impegno
di almeno tre milioni di cittadini, controfaccia sociale dei dolosi
furbetti, ma anche dei numerosi qualunquisti apatici e scettici,
quella moltitudine che nel lontano 1925, anno che vide i miei natali,
Einaudi definiva “rozzi, incolti e procaccianti”.
Altra riforma incisiva è quella denominata “La
buona scuola”, le cui prescrizioni, calate nella variegata realtà
dell’istruzione pubblica, stanno ottenendo non solo
accondiscendenze, ma soprattutto clamorose critiche, meritevoli di
attenzione, per i necessari aggiustamenti.
L’attività riformatrice ha interessato anche
i beni culturali, con riflessi positivi sul turismo, il rilancio
dell’agricoltura, la nuova legge “Dopo di noi” per assicurare
l’assistenza postuma a persone con gravi disabilità, il divorzio
breve, il canone Rai, lo scioglimento di Equitalia; ecc.
Qualcuno ricorderà che in pieno G20 a
Hangzhou, lo scorso settembre, Obama ha espressamente citato come
modello da seguire le riforme messe in campo dal Governo Italiano per
far ripartire il Paese.
Da sottolineare, infine, la svolta dignitosa
impressa ai rapporti con l’Unione Europea.
In generale è la crescita della fiducia dei
consumatori e degli imprenditori che da alcuni mesi a questa parte si
manifesta, evidentemente stimolata dalla constatazione che lentamente
ma costantemente l’occupazione cresce.
È vero che l’Istat, contestualmente
all’aumento dell’occupazione, segnala anche l’aumento della
disoccupazione giovanile, il che appare contraddittorio ad una prima
lettura; ma quando si legge che tale aumento è determinato dalla
scelta di migliaia di giovani di uscire dalla compagine dei
rinunziatari per immettersi nella schiera degli aspiranti lavoratori
- appunto i disoccupati, si capisce che anche questa scelta è un
segno di fiducia nel futuro.
Un episodio sintomatico l’ho vissuto
ascoltando una trasmissione serale qualche settimana fa - penso
“Piazza Pulita” - laddove, alla domanda del conduttore circa
l’indicazione della loro alternativa a Matteo Renzi, il giornalista
Damilano di “Repubblica” proponeva De Magistris - e non vi dico
il brusio dei presenti, mentre il secondo autorevole giornalista, di
cui non ricordo il nome, di “Libero” sviluppava il suo pensiero
in questi termini: “Matteo Renzi ha dimenticato di essere un
giovane di 41 anni. Avesse abbandonato totalmente l’arengo
politico, dopo qualche tempo si sarebbero recati da lui in ginocchio
per convincerlo a ritornare”. Una fantastica omologazione.
Concludo ribadendo la mia fiducia nell’uomo
Renzi e nelle sue speciali doti di leader, piuttosto stimato anche
dai referenti stranieri tanto che poco tempo fa un importante
esponente politico e Segretario di Stato statunitense lo ha definito
“una risorsa per l’Italia e per l’Europa”. Sta scritto che
solo l’inerte non commette errori e che chi ha cessato di imparare
è vecchio.
E se lo sciagurato esito referendario ha un
merito, è quello di aver contribuito ad ampliare l’esperienza di
Matteo Renzi, al quale incombe oggi il dovere di gestire
accortamente, per il bene del Sistema Paese, la scelta compatta – e
sottolineo compatta - di 13 milioni di sì”.
Un saluto fraterno a tutti.
Renzo BRUNETTI.
Il 3 di dicembre, giorno prima del referendum, tutto il popolo
italiano era dell’opinione che occorresse fare qualcosa circa le
riforme della Repubblica. Il 5 dicembre non se ne parla
definitivamente più.
Ma è certo che tutti avevamo detto che
ritenevamo necessarie delle riforme della Repubblica. Per esempio,
basterebbe citarne una sulla quale tutti sono d’accordo, ossia
mille parlamentari per una popolazione di 60 milioni di abitanti sono
un po’ eccessivi. Seconda: le province non ci stanno proprio nella
Repubblica italiana, anche se sono nominate nella Costituzione. E la
terza: partiti e sindacati devono essere regolati dalla legge.
Si tratta di una carenza della legislazione
normale, in materia di libere associazioni.
Altre riforme necessarie sarebbero quelle alle
quali si riferiva la relazione del Presidente, il 138, e riguardo la
legislazione ordinaria, per esempio quella elettorale.
La repubblica è stata governata, nel bene e
nel male, negli opposti estremismi. Non è cresciuta la repubblica,
ma forse sarebbe cresciuta ancora di meno, se ci fosse stato il
maggioritario.
E fu solo De Gasperi che il giorno dopo il 18
aprile 1948, rispetto al suo partito che chiedeva il governo
monocolore democristiano, disse che doveva essere insieme ad altri
partiti di democrazia laica.
Nella sua relazione, il Presidente ha detto che
alcuni di noi si sono espressi – io sono uno di quelli – per una
Costituente che abbia i poteri propri della Costituente per
addivenire alle riforme che sono necessarie e non alla riforma di
tutta la Costituzione, ma di quelle ritenute necessarie. E si dice
“Ma noi temiamo….”. Temiamo che cosa? Temiamo le elezioni?,
temiamo il popolo italiano? Temiamo, cioè, di ricorrere alla
sovranità che, secondo noi, starebbe nell’articolo 1 ed è la base
dalla quale e con la quale Mazzini elabora tutta la sua teoria e
tutto il pensiero del quale siamo portatori? Siamo arrivati al punto
nel quale abbiamo paura della sovranità del popolo? E allora
diciamolo, come stamattina diceva Roberto Balzani. Se abbiamo paura
della sovranità del popolo, dobbiamo dirlo, non facciamo più le
elezioni, così almeno avranno spazio i dittatori di ieri e magari di
oggi.
Dobbiamo parlarci un poco seriamente. Parliamo
di riforme, parliamo di popolo, parliamo di Mazzini o parliamo di
Metternich, parliamo di Bismarck? I discorsi si fanno seriamente, non
si fanno per scherzo! Non si fanno, e lo dico perché rivendico, come
mazziniano, ma soprattutto come cittadino, la facoltà… io mi sono
espresso in direzione e ho votato “No” convintamente al
referendum. La rivendico, e voi me lo dovete consentire, la facoltà
di ribadire, per quanto necessario al discorso, il “No” che ho
espresso. Non si può pensare a dei sistemi che irretiscano uno dei
poteri dello Stato, come sarebbe stato irretito il potere legislativo
se fosse stata varata la riforma, perché basta leggere oggi la
proposta di legge costituzionale, articolo 70, per comprendere per
chiunque abbia praticato qualche volta il testo costituzionale che il
potere legislativo veniva irretito e con ciò la sovranità veniva
tarpata nella sua principale espressione, perché, fino a prova
contraria, il potere legislativo dovrebbe essere quello che regge,
guida, indirizza la repubblica, lo stato, la comunità.
Allora, amici miei, io lo dico solo a titolo di
esempio e non ho partecipato, come ho detto prima e lo ribadisco
adesso, alla fase del dibattito internet, ecc., perché è sempre
bene dircele in una sede nella quale ci guardiamo negli occhi e
sentiamo soprattutto il contributo che ci danno coloro che pensano
delle cose diverse.
Io ho fatto questo intervento per due ragioni:
la prima perché vorrei che ci dicessimo, in questa o altra sede o
nel convegno o quando vogliamo, quand’è che parliamo delle riforme
e come ne parliamo, come e quand’è?; la seconda per stabilire, in
termini di grande o della maggior esattezza della quale siamo capaci,
coi tempi sufficienti che oggi non ci sono, per capire in quali
termini vogliamo che la sovranità del popolo italiano si esprima
costituzionalmente parlando o elettoralmente parlando. Dobbiamo
occuparci di questi che sono i principi senza i quali Mazzini non
c’è. Parliamo di un Mazzini storico, parliamo dei medaglioni,
parliamo delle effigi, parliamo di Stagliieno… Per l’amor di Dio,
io vengo dalla terra dov’è sepolto, andrò il 10 maggio, ma non è
quello. La Mazziniana, lo diceva il Presidente, sta a metà strada,
se vogliamo, ma non è quella che porta i lumini, non è MAI stata
quella che porta i lumini, non lo è stata per Tramarollo, non lo è
stata per Fussi, non lo è stata per tutti gli altri presidenti della
Mazziniana e non lo è oggi, l’ha detto nella relazione il
Presidente.
È su questi temi che noi dobbiamo
concentrarci. Parlare del resto significa non voler più parlare
della democrazia in Italia. Difatti, l’unica osservazione che ho
fatto alla relazione che ha tenuto stamane il Presidente è stata “Tu
che vivi nelle istituzioni, sei ottimista in ordine ai contenuti
delle istituzioni. Non c’è più nessuno che ci creda, dentro alle
istituzioni, al significato delle istituzioni.” E lui mi ha
risposto “Nei quadri intermedi….”. Ma io ho risposto “No,
perché bisogna andarci alle udienze tutti i giorni per constatare
quanto non ci si creda più.”
Ormai tutti facciamo finta che ci sia il codice
di procedura civile e penale, facciamo finta che ci sia
l’imparzialità della magistratura secondo i canoni, facciamo finta
che il parlamento abbia una sua dialettica di contenuti, anziché di
schieramenti o di tornaconti… il cassetto dei voti, quanti me ne
vengono. Addirittura si discute sulle leggi elettorali, su cosa
possono produrre e quindi su quale sia migliore come sistema. È vero
o non è vero? È vero, perché lo leggiamo su tutti i giornali.
Non vogliamo parlarne? Non parliamone, ma
allora non siamo più né un’associazione, né un’istituzione, ma
soprattutto non siamo più una repubblica. Diventeremo un regno o
quello che voi volete, meno quello che Mazzini ha pensato.
Alessandro ANDREINI.
Porta i saluti dell’amico Massimo Scioscioli.
Inoltre tratta l’aspetto della valorizzazione
di Mazzini. Quando trovo che studiosi, esterni all’Associazione
Mazziniana, che ci riferiscono che il pensiero di Mazzini è alla
base del pensiero degli Stati Uniti d’America, che Kennedy nel ’63
alla base NATO di Napoli riferiva che il problema più grande di oggi
è la potenza nucleare, il pericolo che possa esplodere il mondo, e
citava l’espressione di Giuseppe Mazzini “L’umanità è un solo
ovile, un solo pastore, occorre proteggerla, non dobbiamo lasciarci
sommergere dall’anarchia”, queste sono acquisizioni che noi
mazziniani dobbiamo approfondire.
Approfondire perché il pensiero di Mazzini sia
diffuso e possa arrivare alle radici della nostra democrazia.
Voi sapete che ci siamo occupati, e ringrazio
il Presidente Di Napoli, perché alla Basilica di Santa Croce è
stata accolta la nostra richiesta di un’immagine di Mazzini: questo
è un momento di valorizzazione massima del pensiero di Giuseppe
Mazzini.
Nostro primo compito è proprio quello di
diffondere il pensiero di Mazzini, di far sì che questo pensiero
possa diventare un patrimonio dell’umanità intera.
A questo riguardo, l’amico Andreini cita il
saggio del prof. Luigi Orsini, sull’ultimo numero de “Il Pensiero
Mazziniano”.
Propone inoltre di rivolgere un invito di
questo tipo all’amico Prof. Luigi Orsini affinché faccia una bozza
di costituzione europea da presentare, da proporre nelle sedi
apposite.
Afferma infine di aver votato “sì” e
condivide fino in fondo le ragioni e i motivi espressi dall’amico
Eros Prina sulla valenza del Governo Renzi.
Franco CALZOLARI.
Inizia con un apprezzamento alla Sezione di Milano.
Circa le vicende referendarie del 4 dicembre,
su cui è stato dibattuto molto, in quel momento si sono viste le due
anime della nostra associazione, a favore del “sì” e del “no”,
ma quello che è possibile constatare è che tutto ciò non ha
lasciato nessuna lacerazione, a differenza di quanto avviene in altre
associazioni.
Dopo gli eventi negativi che si sono verificati
nel corso del 2016, l’amico Calzolari sottolinea il ruolo che l’AMI
potrebbe assumere. Ritiene grave inoltre che oggi la leader May che
voglia rompere in maniera irrevocabile il rapporto con l’Europa,
ritenendosi libera di fare accordi bilaterali con ogni stato
escludendo l’Europa.
Un’altro elemento negativo sono state le
elezioni americane. Il nuovo Presidente Trump non riconosce l’Europa
come entità.
Infine sottolinea la notizia ultima del
regolamento della Pubblica Istruzione per l’ammissione agli esami
di maturità con il 6 politico, sulla quale ritiene che l’AMI
dovrebbe prendere posizione uscendo con un documento.
Infine propone che l’AMI prenda l’iniziativa
di inviare alle scuole, ai docenti scolastici, materiale sui temi del
Risorgimento, temi da portare avanti poi anche a livello di sezioni,
con un ordine che parte dalla Direzione Nazionale dell’AMI e che
intervenga anche con un documento di solidarietà verso questi
territori afflitti dal terremoto e dalle slavine.
Giovanni GALLUCCIO
Ringrazia a nome del presidente della Sezione
di Trento e ringrazia Renzo Brunetti per la splendida iniziativa
precongressuale svolta a Trento.
L’amico Galluccio illustra come sta cercando
di collegare la sezione a un percorso di accreditamento nel parterre
delle ONLUS trentine, attraverso progetti.
Uno progetto attiene a un tavolo welfare a km
0, finanziante la Fondazione Cassa dei Risparmi di Trento e Rovereto
delle network delle Fondazioni Casse dei Risparmi nazionali, soggetto
attuatore è la Fondazione Franco De Marchi, un’associazione di
assoluta ispirazione cattolica.
Quindi, siccome c’è questo clima di
rinnovato tentativo di dialogo fra finanza cattolica e finanza laica
e anche di progettualità molto concreta legata ai tagli di
trasferimento, se qualcuno è interessato a condividere questa
iniziativa, è possibile che questo primo lavoro, a cui la sezione di
Trento parteciperà in forma triennale dal prossimo febbraio, in
forma di attuazione concreta possa replicarsi su altri territori. Mi
limito a enunciarvi il tema che riguarda “NEET”, cioè quella
generazione formalmente tra i 14 e i 29 anni, che in realtà si sta
drammaticamente allungando, di persone che sono non occupate, che non
studiano e non sono in qualche modo attive anche in attività di
formazione, quindi persone che sostanzialmente tendono a ritrarsi in
un privato fatto spesso di tecno--dipendenze.
Un’altra richiesta che ci è arrivata è
quella di contribuire a una sperimentazione a rete dove altre sezioni
dell’AMI, se vorranno, potranno aderire. È un app gratuita che si
chiama “Shelly”, che potete liberamente scaricare; c’è già un
profilo collettivo della sezione AMI di Trento. Questo è un modo di
partecipare per singola iniziativa dei singoli cittadini o gruppi di
cittadini a segnalare reti di degrado urbano o attività vandaliche e
vari altri episodi di violenza metropolitana.
Massimiliano PIFFER.
Sottolinea una carenza, una perdita di quelli
che sono i valori, i principi etici e morali alla base di Mazzini. Un
Mazzini che se andate all’estero lo conoscono molto meglio che in
Italia; all’estero, è studiato a scuola.
Lui considera Kennedy un mazziniano, la frase
che più gli piaceva è “Non chiedere cosa lo Stato può fare per
te, ma cosa tu puoi fare per lo Stato”.
L’amico Piffer sottolinea che questo è un
concetto che, purtroppo, in Italia non c’è. Come non c’è il
concetto dell’equilibrio del diritto e del dovere, cosa
fondamentale per quanto riguardava Mazzini, perché ogni diritto
acquisito non può essere che frutto di un dovere compiuto. E questo
è l’errore fondamentale che non hanno assolutamente capito i
sindacati, ed anche alcuni imprenditori, e per il quale molti
lavoratori sono arrabbiati.
Dobbiamo anche ricordarci che, secondo Mazzini,
la base è l’istruzione.
Per quanto riguarda un’analisi sul discorso
del referendum, l’unica proposta intelligente che, secondo lui, era
stata fatta, era quella di spacchettarlo in sei punti. Ma il
referendum è stato utilizzato con slogan e tweet, e la gente non è
andata a votare per il contenuto.
Concorda con la Direzione in merito al
comunicato a favore della difesa della Costituzione.
Domanda, inoltre, come mai siamo arrivati al
punto in cui vincono gli slogan, anche se falsi e ignoranti. Teme che
ci stiamo distaccando dalla realtà, com’è già successo per la
politica, per l’imprenditoria ed i sindacati.
Nessuno approfondisce, perché fatica.
Ritiene che sia necessario trovare una
soluzione per cambiare ed invertire questa tendenza.
Ritorniamo all’istruzione, la scuola, il
riuscire a trovare un modo per entrare nelle scuole, perché solo
così si potrà avere, tra 10/15 anni, un risultato e poter discutere
effettivamente di quei valori, di quei principi, di quelle cose
giuste, che ha sentito dire finora, ma che purtroppo tre quarti degli
italiani non capiscono.
Daniele MASSARRI.
Innanzitutto, inizio con i ringraziamenti per
quella bellissima pubblicazione, per la presentazione di ieri, e
voglio pubblicamente ringraziare gli autori e tutti coloro che si
sono prestati in questo perché, effettivamente, ha colmato quella
lacuna che ieri il nostro Presidente ha così abilmente illustrato.
Faccio un passo indietro per arrivare all’oggi.
Cerco di essere estremamente telegrafico, per certi versi sarò pure
lapidario.
Concedetemi una brevissima battuta: io mi
illudo che l’elezione di un monarchico al Parlamento Europeo serva
come ripensamento per la Regina Elisabetta, magari hai visto mai che
pensa di tornare indietro.
Comunque, al di là delle battute, stamattina
non ho preso la parola perché si era andati lunghi, ma ci torno
veramente per un momento, mi ero preparato dei brevi appunti sul
“Colloquio mazziniano: lo stato della Repubblica”. Alcuni
interventi mi sono piaciuti veramente tanto, li ho veramente
apprezzati, ma devo dire che, come si direbbe in termini
giornalistici, siamo stati poco sul pezzo. Se levo l’intervento che
ha fatto il nostro Presidente, quello di Roberto e quello di Pietro,
si è un po’ andati fuori tema sotto certi aspetti. E secondo me,
appunto, prendendolo proprio in senso stretto, lo stato della
Repubblica se lo esamino da un punto di vista mazziniano, devo dire
che è uno stato fallimentare. Perché? Perché penso a quella che
era la repubblica del Mazzini e quindi – son parole del 1869 e la
repubblica era lontana da venire nel nostro Paese – “La
Repubblica non è dilapidazione né spreco, ma è economia di spese e
virtuosismo; la Repubblica non è usurpazione governativa, ma è
anche il superamento del dualismo tra governo e paese; è armonia tra
i due elementi fondamentali, nazioni e comune” e infine – e
questo è l’aspetto, secondo me, che oggi manca di più – grazie
alla Repubblica ci si affranca da quelli che sono i privilegi della
nascita, i privilegi della ricchezza e c’è un accesso, grazie alle
virtù e al merito. Ecco perché dico che è uno stato fallimentare
quello della Repubblica. Perché se io ripercorro schematicamente
questi quattro aspetti, vedo che quella che è stata realizzata è
una repubblica “bananifera” dal punto di vista di spreco delle
risorse e della dilapidazione del patrimonio. Vedo che, appunto, e lo
abbiamo ripetuto sotto vari aspetti, soprattutto in questa campagna
referendaria, c’è – eccome se c’è – questo dualismo tra
governo e paese, che s’è tradotto, come è stato detto giustamente
con un’espressione che mi ha colpito tantissimo, in un “fossato”.
È vero! È stato messo un fossato, quasi una trincea tra quello che,
in certi ambienti, è chiamato il “Palazzo” e la comunità. Ma
soprattutto manca l’aspetto fondamentale, che rendeva la centralità
al popolo, alla base della Repubblica, ossia quel riconoscimento di
virtù e di meriti e siamo ritornati un’altra volta al
riconoscimento della ricchezza e dei privilegi di nascita. Poi
diventa uno slogan, sotto certi aspetti, che Renzi cavalcava,
dimenticandosi che qualcuno ce l’aveva in casa, quando diceva
“Sogno un’Italia dove l’importante è che conosci qualcosa e
non che conosci qualcuno”. Poi uno va a vedere i ministri che ha
nominato e qualche sospetto che fosse propaganda politica magari ti
viene.
Riprendetela come una battuta, d’altronde noi
in Toscana abbiamo spesso e volentieri questo viziaccio.
Di queste relazioni sul cosa fare, faccio
adesso un passaggio velocissimo sul referendum. Questo referendum,
per me, ha rappresentato un momento gravissimo per tre aspetti. Al di
là del “sì” o del “no”… chi mi conosce sa che sono stato
convintamente fermo sul “no”, ma lo sono stato dal febbraio
scorso, quindi dal dopo-Terni in poi io sono sempre stato fermo nelle
mie convinzioni, caso mai è aumentato il numero di quelli che ho
visto intorno a me, sebbene per ragioni completamente opposte alle
mie. Ma, al di là di questo, ci sono tre vulnus, che così si
distribuiscono le colpe tanto a destra che a sinistra, uno, appunto,
era quello che ricordava il Presidente prima. Cioè ormai è
diventato normale, accettato, che, a colpi di maggioranza, si cambi
la carta fondamentale dello Stato. E questo, vorrei ricordarlo, è
stato fatto negli ultimi vent’anni, in più occasioni, ma questa
volta è stato fatto in maniera violenta, addirittura … , e questo
è inaccettabile, ma non tanto per dove ha portato, che quello è un
di più, è il fatto in sé. Abbiamo sdoganato definitivamente che
una qualsiasi maggioranza cambia la carta fondamentale dello Stato a
proprio piacimento. E questo è un aspetto.
L’altro aspetto, e qui mi ricollego a quello
che diceva Franco prima di Italo Balbo - sapete che io sono un amante
degli aspetti particolari, delle curiosità - Italo Baldo, tra le
varie cose … Uno degli aspetti che poco si conosce di Italo Balbo è
che, nell’ingenuità che, in un certo modo, i picchiatori fascisti
potessero essere contenuti mettendo all’indice, cercando di
limitare, per non dire annullare, l’utilizzo dei manganelli,
arrivano delle direttive ministeriali che vietano l’uso dei
manganelli. Italo Balbo cosa fa? Dà dimostrazione di come gli
stoccafissi funzionassero perfettamente all’occorrenza. Questa è
un’altra cosa che abbiamo visto – ecco come ho usato il
parallelismo – abbiamo visto non c’è bisogno di limitare con
delle leggi o meno che esistano delle leggi o meno. Quello che
giustamente ricordava il Presidente come l’articolo finale della
Costituzione in tema di modifiche della Carta Costituzionale è un
articolo che è posto a tutela delle minoranze, non della
maggioranza. Il fatto che, in ultima istanza, si possa ricorrere al
popolo, una volta fatti determinati passaggi, è a garanzia di una
minoranza, perché anche la minoranza, raccogliendo determinate firme
e passando per l’istituto referendario, possa aver modo di
perfezionare un processo democratico alto, non un mercato delle
vacche, perché come si sa, al mercato delle vacche, chi alza di più
la voce la vacca è sua. Funziona così. E questo è quello a cui
stiamo assistendo oggi. Quando a volte mi sento domandare “Ma come
mai la politica, i 5 Stelle…”, la regola di fondo è quella lì.
Siamo al mercato delle vacche e chi strilla di più la vacca è la
sua. Funziona così. Ora è un po’ forte, mi rendo conto. Spesso le
lancio anche così come provocazione, però vi invito a una
riflessione.
Ultima cosa e vado a concludere. Quest’anno
per noi di Piombino è stata un’annata meravigliosa, abbiamo fatto
tante di quelle cose che veramente, ogni volta che ci ripenso, mi
stanco a pensare alle cose che abbiamo fatto come AMI. Abbiamo fatto
cinque conferenze; abbiamo fatto due spettacoli; abbiamo restaurato
due monumenti; abbiamo donato un monumento nuovo alla città di
Piombino; abbiamo fondato un giornale; abbiamo, infine, realizzato un
calendario che alcuni di voi hanno ricevuto.
In tutto questo, e Nicola lo sa bene perché me
ne ha portate delle altre che quelle che avevamo non bastavano, è
aumentato notevolmente il numero, ma mica perché abbiamo la fabbrica
dei mazziniani, che entrano dalla porta ed escono fuori mazziniani. È
che però abbiamo tutta una serie di persone, e questo è il senso
del mio intervento per cui ho chiesto la parola - al di là di queste
considerazioni o bischerate, sceglietelo voi – che andando dentro
alle scuole, andando nei circoli, andando nei teatri, andando,
andando, andando, scrivendo, scrivendo, scrivendo, abbiamo avvicinato
tutta una serie di persone, alcune delle quali hanno confessato che
non conoscevano neanche l’esistenza della nostra associazione.
Provate un po’ a pensare al bacino di utenza.
Io ci sono due sindromi dalle quali cerco di
preservami in salute, una è la sindrome di Gino Paoli, “Eravamo
quattro amici al bar”, e l’altra è la sindrome della stufa
all’Equatore. Una stufa, se funziona perfettamente, può essere il
miglior modello di stufa, la stufa più perfezionata e più
tecnologicamente avanzata di tutte, ma, se la portate all’Equatore,
non serve a un tubo. Questo per dire, e io sottoscrivo ogni singola
parola dell’intervento che ha fatto questa mattina Pietro Caruso,
perché l’alternativa a quello è la stufa all’Equatore. È un
gruppo di persone che parla al proprio interno dei propri problemi,
ma che no va verso l’esterno.
Io spero che si riesca veramente, in maniera
abbastanza violenta, a invertire certe rotte e certe dinamiche e mi
sembra anche che da Terni in poi, devo darne atto, un percorso
comunque diverso sembra si sia cominciato a fare.
Grazie a tutti.
Milena MOSCI.
Io sono Milena Mosci. Come credo qualcuno di
voi sappia, sono stata delegata dall’Associazione per partecipare
alle sedute italiane del Movimento Europeo che si sta, per modo di
dire, prodigando per l’organizzazione delle manifestazioni per il
25 marzo prossimo.
Prima di interloquire sugli altri temi proposti
da Mario, vi volevo dare qualche aggiornamento su questo, che mi pare
doveroso. Ci sono state una serie di riunioni che dovrebbero portare
alla stesura di un documento finale da presentare in occasione di
questa data importante, che al momento non hanno prodotto granché di
concreto, questo perché il CIME è un’organizzazione abbastanza
“ingessata”, o per meglio dire, decisamente auto-referenziale, in
cui i meccanismi di decisione, di confronto e quant’altro sono
piuttosto confusi e nebulosi. Questa è una cosa di cui, con il
Presidente, abbiamo già avuto occasione di discutere, ma ovviamente
non starci dentro non è neanche pensabile e conoscerne tutti i
limiti è comunque positivo.
Abbiamo in programma delle riunioni prossime
venture, che forse dovrebbero portare a una definitiva stesura di
quelle che dovrebbero essere le iniziative per la manifestazione e il
documento che dovrebbe andare in porto, in via definitiva. Vi dico
soltanto che normalmente ci vengono mandate delle bozze, alle quali
noi replichiamo dando delle indicazioni, per poi scoprire che viene
posto in discussione un altro testo, che è stato poi rimaneggiato in
riunioni non si sa bene convocate da chi e con chi e per come, il
giorno prima dell’assemblea. Ecco questo è, più o meno, l’andazzo
del Consiglio.
Però questo è emblematico, secondo me, di una
carenza di cui questa mattina si è parlato molto, ossia della
carenza delle classi dirigenti, perché è un modo di agire che poi
non porta molto, ma consente a tutti di sentirsi un pochino
importanti. E questo è un problema grosso, un problema di cui questa
mattina abbiamo parlato e che io richiamo, non a caso, perché trovo
che sia, in qualche modo, una contraddizione abbastanza forte essere
tutti d’accordo, perché mi pare che questa mattina fossimo tutti
su questa lunghezza d’onda, che la classe dirigente e politica e
imprenditoriale-economica e intellettuale – forse questa ancor più
delle altre – sia fortemente deficitaria, soprattutto sono classi
dirigenti vecchie, vecchie di pensiero, che non solo non sono al
passo coi tempi, ma men che meno sono proiettate al futuro. Checché
se ne dica, io prendo un esempio – ne prendo uno - anche della
discussione che alcuni relatori hanno fatto questa mattina della
demonizzazione della rete. La rete ha dei limiti certamente forti, la
rete, come tutte le cose – non esistono cose completamente neutre –
può essere utilizzata in modo positivo e in modo negativo, ma è
ormai e sarà una costante del nostro futuro, è inutile rifiutarla.
Bisogna saperla utilizzare, bisogna cominciare a ragionare sul fatto
che le nostre decisioni future, qualunque esse siano, saranno
condizionate anche da questo mondo che ci è attorno.
Questo chiama in causa il problema della classe
dirigente e lo chiama in causa perché una classe dirigente deve
stare, ripeto, non solo al passo coi tempi, ma oltre i suoi tempi. E
noi dobbiamo farla crescere. Se accettiamo l’idea che non abbiamo
una classe dirigente… scusate io capisco la necessità che abbiamo
di riforme e mi auguro, francamente, considerati i disastri, a
livello giuridico, che stanno combinando da anni a questa parte, che
di riforme questa classe dirigente attuale, assolutamente deficitaria
e insufficiente, non ne faccia più. Le riforme le dovrà fare
un’altra classe dirigente, che sia al passo con questo mondo e con
quello che verrà, che sia con la testa avanti, non con la testa non
si sa bene dove.
E questo io credo sia il compito principale
dell’AMI, quello di cominciare a far crescere una nuova classe
dirigente, nei limiti delle sue possibilità. Nessuno di noi si
illuda che siamo noi l’ago della bilancia, che siamo noi quelli che
possono fare la differenza, ma possiamo contribuire a farla la
differenza. Non pretendiamo assemblee costituenti formate da gente
che ha già dimostrato la sua assoluta incapacità di leggere il
mondo.
E allora, se dobbiamo ragionare in questi
termini, io riprenderei alcune suggestioni che ci ha dato oggi, per
esempio, Roberto Balzani, sulla necessità della lettura dei
territori, e comincerei come AMI a riorganizzarci in modo da favorire
una crescita diversa, in modo da favorire un’alfabetizzazione delle
giovani generazioni. Io appartengo ancora ad una generazione che ha
imparato a cercare le notizie, a ragionare, a conoscere con altre
metodologie, che non erano la rete. Oggi so discernere tra le bufale
e la realtà, so farla questa comparazione. Altri non hanno questa
fortuna. Forse questo è uno dei compiti che ci possiamo porre come
AMI.
Possiamo porci anche l’obiettivo, come AMI,
di dare spazio nei nostri dibattiti a relatori un tantino più al
passo coi tempi di quelli che abbiamo avuto questa mattina. Mi
dispiace doverlo dire, non deve suonare come una critica nei tuoi
confronti, nei confronti delle scelte che tu hai fatto.
Scusatemi. Io posso riconoscere la cultura, la
conoscenza, quello che volete voi, ma in molte delle cose che sono
state dette questa mattina non ho sentito assolutamente dalle persone
che ho ascoltato - a parte Roberto Balzani –una parola utile per
capire in che direzione si muoverà il futuro. Ma non è colpa di chi
è intervenuto, è semplicemente che fanno parte di un’altra fase
della storia.
Allora cominciamo noi per primi a dare spazio a
chi sta un po’ più in là con la visione, a chi ha un po’ più
di prospettiva, ma perché è la vita che è così, non è questione
né di pregiudizi né di quant’altro. In fondo, è la vita che è
così.
Grazie.
Antonello MASCIA.
Sono Antonello Mascia, presidente della sezione
AMI di Cagliari.
Devo dire che da molto tempo ho riflettuto su
una cosa. Che quando in Italia ci sono momenti di crisi economica,
politica, ecc., si sollevano sempre problemi di cambio di legge
elettorale e di cambi istituzionali. Ma questo già nell’800,
quando dinanzi alla prima crisi dello stato unitario, ovvero ai tempi
di Crispi e subito dopo, Sonnino scrisse quel suo famoso articolo
“Torniamo allo statuto” per la Nuova Antologia.
Io ho votato convinto per il “no” alla
riforma, senza se e senza ma, anche se devo dire che partecipando ad
un Comitato del No, dopo aver sentito qualche discorso, veniva ogni
tanto voglia di votare “sì”. Ma questo lo dico come battuta. Poi
ho smesso di frequentare quel comitato e quindi ho votato come detto.
Francamente devo dire che la riforma non mi
spaventava più di tanto, nel senso che credo che molte delle
critiche che sono state fatte fossero critiche esagerate. Però era
una riforma pasticciata e addirittura per una cosa che riguardava noi
sardi, veniva modificato lo Statuto Regionale della Sardegna, che è
una legge costituzionale, con una procedura diversa da quella
prevista dallo Statuto, tanto per dire.
Però io penso che noi dovremmo affrontare un
altro problema. Cioè, non possiamo affrontare i rapporti tra
legislativo ed esecutivo risalendo ai sacri testi di Montesquieu,
perché con la formazione dei partiti, retti più o meno dalla
disciplina di partito, non possiamo essere così ingenui da pensare
che il Parlamento possa controllare il Governo. Il compito di
controllare il Governo, e quindi anche la maggioranza parlamentare,
spetta all’opposizione. E qui era, secondo me, uno dei punti
mancanti della riforma costituzionale, in cui non si parlava di
nessuno statuto dell’opposizione, non si davano all’opposizione
dei poteri autonomi, addirittura si demandava ad un provvedimento
parlamentare che però veniva adottato dalla maggioranza
parlamentare. Tanto peggio se pensiamo alla legge elettorale,
all’Italicum, che da una parte da un premio sproporzionato alla
maggioranza – non significa di per sé che una maggioranza formata
in quel modo sia compatta. Ma cosa succede? Che, al contrario,
mettendo una clausola di sbarramento molto bassa, avremmo i seggi
riservati all’opposizione frammentati fra tutta una serie di
partitini che chi conosce la storia costituzionale era la stessa
situazione della legge Acerbo. E questo è il fatto negativo.
Ma un altro fatto che io reputo molto negativo,
ed è l’ultimo argomento e poi chiudo, va oltre le singole norme o
le singole riforme costituzionali pensate o proposte, ma è
un’atmosfera che si è creata nel Paese, che veniva citata anche
questa mattina. Quante volte abbiamo sentito dire da persone di
qualunque orientamento politico da destra o sinistra “Ma questo è
un Governo non eletto. L’ultimo Governo eletto è stato quello di
Berlusconi.” Perché Monti non è stato eletto, Renzi non è stato
eletto, Letta non è stato eletto e l’attuale Gentiloni non è
stato eletto.
Signori, la Costituzione è chiara: il
Presidente del Consiglio dei Ministri è nominato dal Presidente
della Repubblica e deve godere la fiducia del Parlamento. Ma quello
che c’è di grave, in questa mentalità, è il disegno che in
alcuni c’è. Un’elezione diretta, perché viene imposto al Capo
dello Stato di nominare una determinata persona Presidente del
Consiglio significa che quel Presidente del Consiglio non può essere
sfiduciato. L’opposizione, lo disse una volta Luppi quando era
sempre nelle trasmissioni televisive, una volta che si fanno le
elezioni deve andare a casa, perché con le elezioni si è scelto chi
governa e chi va a casa. È la negazione della democrazia
rappresentativa.
Ma peggio ancora. Il Parlamento non può
sfiduciare questo Governo, la magistratura non può indagare su un
uomo che è stato eletto dal popolo, la Corte Costituzionale non può
dichiarare incostituzionali leggi approvate dal Parlamento che è
stato scelto dal popolo.
Con l’affermazione di questi principi siamo
fuori non dalla democrazia rappresentativa, ma dallo stato di
diritto.
Paolo LOMBARDI.
Vorrei dire tantissime cose per quanto ho
sentito adesso e quanto ho sentito questa mattina, ma mi limito ad
alcune considerazioni.
Ora, io difendo, ovviamente, la decisione
dell’AMI di votare “no” al referendum; io ho sempre parteggiato
per il “no”, sono anche andato in giro a spiegarlo nei comitati,
quindi lo difendo convintamente e del resto il motivo, se vogliamo,
perché fa parte un po’ del DNA dei nostri discorsi, prioritario
alla base di tutto forse è anche quello che è emerso dal Congresso
per cui la Direzione aveva svolto un mandato, in quel momento,
preciso, ossia che riforme di questa portata abbisognano comunque di
una Costituente e non possono essere fatte così.
Ma non voglio soffermarmi sul referendum. Se ne
è parlato tanto in tanti, tante volte ne ho parlato io, per cui sono
discorsi ormai perfettamente noti e ritengo anche, se vogliamo, di
retroguardia.
Non condivido la necessità… cioè nei
discorsi referendari lo si diceva, adesso si dice “Bisogna comunque
arrivare a fare le riforme costituzionali”, le altre riforme
bisogna organizzare nel Paese quello che si vuole. Stiamo attenti su
questo, perché, in realtà, io ritengo che il discorrere di riforme
costituzionali e tutto quello che vogliamo non è altro che l’alibi
della classe politica che non è capace di fare politica. Siccome non
è capace di fare politica, dice “Il colpevole non sono io, la
colpa è delle regole che qualcuno mi ha dato”, queste regole non
mi permettono di liberarmi, di fare quello che io voglio fare, per
cui…
È la classe politica che deve essere
evidentemente cambiata, perché le regole, che ci sono, possono
essere magari modificate in qualche contesto, non lo metto in dubbio,
ma le regole, che ci sono, sono universali. Quante volte abbiamo
detto che la Costituzione della Repubblica Romana è l’antecedente
della nostra Costituzione, verrà un giorno la Costituzione Europea
che sarà il riflesso, speriamo, della Costituzione Italiana. Se la
Costituzione Europea deve essere il riflesso della Costituzione
Italiana, allora mi auguro che la Costituzione Italiana non debba
essere ribaltata. Creiamo un continuum, non pensiamo di buttare via
tutto con discorsi molto semplici, poveri e improvvisati.
E così dico anche che dei discorsi di
stamattina mi è piaciuto molto quello di Balzani, laddove diceva
che, in realtà, questa classe politica è incompetente – lo dico
nel pieno rispetto della classe politica, perché ritengo che
l’attività politica sia un’attività assolutamente nobile e
basilare, quindi non faccio un discorso di buttare tutto alle ortiche
– quando diceva che questa classe politica è una classe politica
incapace, perché non è capace di leggere il presente, non è capace
di interpretarlo.
Ed è vero e io ci aggiungo un ulteriore
elemento che deve connotare i mazziniani, cioè noi mazziniani - devo
dire, purtroppo, perché ci dà molto scoramento spesso, ma meno
male, perché ci dà spesso anche molto entusiasmo – noi mazziniani
dovremmo in realtà essere dotati di una virtù particolare, cioè la
virtù profetica, cioè la virtù, grazie al fatto di saper leggere
il presente, di saper dire dove si deve andare.
È una cosa che abbiamo innata, amici. Se noi
siamo mazziniani è perché questa esigenza la sentiamo, sentiamo
l’esigenza di dire dove si deve andare, dove dobbiamo andare a
parare, di leggere il mondo che c’è adesso per, nel contempo,
essere in grado di leggere anche il mondo che verrà. Questa virtù
profetica è un patrimonio, una caratteristica, che noi abbiamo.
Quello che allora, secondo me, manca oggi, e vi
invito a riflettere perché possa connotare il nostro comportamento,
è individuare gli elementi che ci possono portare a dire dove il
mondo deve andare. Se noi prendiamo il contesto storico-culturale di
Mazzini, sostanzialmente erano due, tre le cose fondamentali: la
creazione di un’unità politica superiore, democratica, e il
livellamento delle disuguaglianze sociali.
La nostra organizzazione nasce durante la
guerra, quando cioè il contesto è il medesimo, quando si parla di
ricostruire - perché avevano previsto che sarebbe finita e finita in
un certo modo - e si trattava di ricostruire su basi di uguaglianza.
In questo momento, secondo me, le coordinate
storiche sono molto simili, perché abbiamo una disuguaglianza
sociale a livello italiano, europeo e mondiale che è spaventosa, e
in più abbiamo una disgregazione politica in atto e lo vediamo nella
fuga dall’Europa, la vediamo, al nostro interno, nelle contese
disgregatrici dell’unità nazionale.
Questa disgregazione deve portarci a dire che
noi, invece, dobbiamo ragionare in maniera esattamente opposta e se
noi non usciamo in questo momento storico, che è una grandissima
messa alla prova per noi, secondo me è difficilissimo che noi
riusciamo a trovare un nuovo momento storico più favorevole. Può
sembrare un paradosso. Cioè il momento di crisi, di nostra crisi, in
realtà è il momento in cui noi dobbiamo sentirci esaltati per
l’attività futura.
E aggiungo questa ulteriore considerazione, che
è paradossale, ma che può anche indicarci l’idea della luce al di
fuori dal tunnel, ossia la carenza della partecipazione giovanile.
Dicevo paradossale, perché in un mondo di disgregazione, di
grandissima disuguaglianza di redditi e di disuguaglianza sociale, è
il mondo giovanile quello che si deve fare sentire, perché è
proprio il mondo giovanile che vive queste disuguaglianze e sa che
sulla base dei rimedi a queste disuguaglianze deve impostare la
società futura.
Per cui è altamente preoccupante che in
un’Associazione come la nostra, che ha questa missione e che deve
essere capace di leggere il presente per interpretare il futuro, la
partecipazione giovanile sia effettivamente nulla. Non dico zero, ma
io guardo alla platea. Non sto dicendo che dobbiamo guardare ai
giovani, perché giovane è anagraficamente più titolato di me, sto
dicendo che il discorso deve essere giovane, perché poi il giovane
venga da noi.
E allora in ogni momento della nostra attività
politica, dobbiamo avere in mente due cose fondamentali: eliminazione
delle disuguaglianze e unità politiche sempre più vaste, cioè
l’Europa e quello che ci sarà dopo l’Europa.
Questo mi porta a dire che, appunto, le riforme
istituzionali sono già un retaggio del passato, le nostre riforme
istituzionali, perché ormai le istituzioni nazionali contano
pochissimo, perché già dovremmo essere proiettati alle istituzioni
europee. Ci potrà essere un fenomeno disgregativo immediato, quello
che vogliamo, che durerà anni, non lo so, ma proprio per quella
virtù profetica che dobbiamo avere, lì ci si deve comunque
arrivare. E siccome lì ci si deve comunque arrivare, allora dobbiamo
combattere per la Costituente Europea, non per la Costituente
Italiana. È questa la battaglia politica europea. Quella Costituente
Europea affinché sia eletta con sistema universale e che porti quei
principi di uguaglianza di cui prima parlavo. Avete letto in questi
gironi i report sulle condizioni economico-patrimoniali e sociali del
pianeta e ci sono sette persone che hanno la ricchezza di metà
dell’umanità. Io è da parecchio che insisto su questa cosa: è
uno stato socio-economico che, in altri ambiti e in altri tempi,
avrebbe portato alla rivoluzione. Ma siccome noi siamo fatti per
evitare che le rivoluzioni ci siano, perché sono sanguinarie,
cerchiamo di evitare di arrivare alle rivoluzioni che chissà domani
dove porteranno. Ma è su queste cose che dobbiamo insistere.
Per cui io adesso non so come potrà svolgersi
concretamente l’attività della nostra associazione sotto questo
profilo, ma secondo me è assolutamente necessario un progetto
capillare sul territorio, cioè occorre proprio descrivere delle basi
del pensiero socio-economico del Maestro e interpretarle in chiave
moderna, per vedere che cosa vuol dire oggi governare un’impresa,
cosa vuol dire oggi fare cooperativa. Sono tutte cose che servono.
Ci sono tanti modi di vivere le cose, anche
difendendo il Jobs Act, ma non compiacersi del fatto che si può
licenziare, ma compiacersi, magari, del fatto che si può lavorare di
più, che ci sono più assunzioni. Non arrivare a questi punti.
Posso fare una domanda? Ma questo Governo è
stato ringiovanito rispetto ai precedenti oppure no?
Anagraficamente. È la mentalità che deve
essere giovane. Secondo me, Renzi, nonostante i suoi 41 anni, era il
più vecchio di tutti. Lui ha occupato uno spazio dicendo che… Nel
2013, io ho fatto parte di un comitato per Renzi. Lo dico e confesso
il mio peccato. Visto che non ho pregiudizi, dopo un anno, dopo
averlo visto alla prova, mi sono detto “Non ne voglio più sapere.”
Sono contento che se ne sia andato. Ma se tu mi dici che Renzi era il
più innovativo ti dico di no. Era giovane anagraficamente, era
paurosamente vecchio dal punto di vista politico e dei rapporti
istituzionali. Il più vecchio di tutti. Preferisco De Mita, De Mita
è più giovane di Renzi nel modo di …
???
Sono arrivato qua col sorriso, perché in
effetti questa nostra seduta, non so se per la presenza anche di
componenti non della Direzione Nazionale, è abbastanza anomala
rispetto alle nostre solite, forse meglio, ma comunque abbastanza
anomala. A volte, nelle nostre Direzioni Nazionali, c’è la
relazione del Presidente durante la quale, come ha fatto oggi,
propone iniziative e poi termina con una relazione politica che poi
diventa il documento che conclude i lavori. Questa volta, forse per
la presenza di altri amici, forse per il fatto che stamattina c’è
stato uno stimolante dibattito, non so, ma la relazione mi è
sembrata un attimino diversa e io, a questo punto, dico una cosa. Non
so se sia un’esigenza solo mia, perché in tal caso dovrei
risolverla da solo, ma se non è solo mia, forse vale la pena che
l’affrontiamo.
L’Associazione Mazziniana un tempo “si
accontentava” di fare qualche manifestazione, di stare molto
attenta alle ricorrenze e basta. Da qualche anno, intende essere più
presente sull’attualità, cosa che mi sembra giusta e opportuna.
Infine, sta venendo avanti un discorso, che va in qualche modo
definito, anche perché purtroppo non possiamo fare mille cose, su
quale sia la funzione principale dell’Associazione Mazziniana.
Avendo capito che probabilmente il problema base è l’insufficiente
educazione dei governanti e, conseguentemente, del popolo italiano,
dobbiamo incentrare la nostra attività su questo? Cioè dedicarsi
all’educazione non vuol dire, banalmente, andare nelle scuole, fare
il piccolo concorso a premi. Vogliamo fare di questa educazione il
nostro obiettivo attuale? Allora se questo è il primo obiettivo, è
inutile che stiamo ad impegnarci in discorsi sulle riforme
costituzionali, e quali e come, e la Costituente, ecc. No, come
diceva Lombardi giustamente, con questa classe politica è meglio che
non facciamo niente sostanzialmente.
Allora se non dobbiamo fare niente, non
facciamo niente su questo argomento e ci mettiamo ad educare e
facciamo gli educatori. Che devo dire? Dobbiamo decidere qualcosa,
non possiamo pensare di far tutto, perché non ce la facciamo
proprio, anche a livello di priorità delle attività.
Perché noi, e termino subito, sul discorso del
referendum e delle riforme istituzionali ci siamo comportati
benissimo. Abbiamo fatto delle critiche, di metodo e di merito,
partendo dal famoso Articolo 70 – ma non solo quello – e quindi,
facendo delle critiche, abbiamo sostanzialmente detto che non ci
piaceva questa riforma, non abbiamo aderito a comitati di nessun
genere, non abbiamo fatto il partito politico. Siamo a posto. Ecco,
su questo argomento, se vogliamo andare avanti, allora a questo
punto, partendo da lì e partendo anche da un’ipotesi che era stata
fatta, quasi di sfuggita, e non sufficientemente approfondita che se
vogliamo superare il bicameralismo perfetto, una delle due Camere, ad
esempio il Senato, dovrà avere funzioni diverse, ossia che un ramo
del parlamento deve avere funzioni di garanzia. Probabilmente,
possiamo approfondire questo aspetto.
Ma se diciamo anche che non si può far nulla
finché non abbiamo una classe politica adeguatamente istruita,
allora smettiamo di fare e dedichiamoci all’educazione.
Massimo BERTANI.
Mi chiamo Massimo Bertani e vengo da Pesaro. A
corollario dei nostri colloqui, che lasceranno molti di noi nei
pensieri, nei giorni prossimi, cercando di trarre una morale dai vari
interventi, chi accorato chi polemico, volevo aggiungere un
contributo riagganciandomi anche a quanto riferiva prima Lombardi
rispetto al problema delle differenze di stato sociale e di
disuguaglianza.
Finché continuiamo a usare queste
terminologie, noi non riusciremo ad incidere proponendo delle
dinamiche di pensiero penetranti.
In realtà, questo aspetto, per me, è uno dei
primi aspetti che tu hai citato, ma che identifico come
auto-sufficienza economica. Noi abbiamo un problema di
auto-sufficienza economica, che genera che le nostre azioni di
singoli cittadini, di comunità, di apparati e di stato avvengano
sotto un capo. In che senso? Nel senso che non potendo e non avendo
la disponibilità economica sufficiente per essere a livello
paritario nell’ambito delle discussioni e delle scelte, dobbiamo
ripiegare alla disponibilità per i terzi che ci viene proposta. E
questo ci porta a uno stato di subordinazione.
Come uscire da questo? Se pur brutto, collego
questo stato di inferiorità e di subalternità all’interno del
nostro Paese rispetto alla comunità internazionale. Aggiungo che, in
realtà, il nostro Paese non controlla per intero il nostro
territorio, sotto il profilo della legalità – e mi riferisco alle
sacche della malavita organizzata sia come apparati sia come
controllo del territorio. E io sfido chi nella comunità economica
veda di buon occhio il fatto che l’Italia abbia un ruolo dominante
o perlomeno paritario.
Quindi come uscire da questa negatività? Certo
è che tutte le alchimie e tutte le elaborazioni di carattere
istituzionale e sociale arriveranno a cozzare contro questo fatto;
cioè la non-autosufficienza economica che ci rende dei soggetti
minori o anche minorati, in certi casi. Quando poi la lettura della
Costituzione ci porta all’Articolo 1 “L’Italia è una
Repubblica fondata sul lavoro”. Allora se noi non coniughiamo la
necessità di porre all’ordine del giorno l’autosufficienza
economica, che non è una rivendicazione di classe, ma è la
condizione minima per poter essere un soggetto con pari dignità, che
è ciò che manca al popolo e alle istituzioni, come potremo porci
come soggetti paritari?
Silvio POZZANI.
Già questa mattina, vi ho tediato, quindi
cercherò di essere il più breve possibile. Al di là del fatto di
doversi confessare, che non mi pare il Presidente sia nel physique
du rôle, fra l’altro è vestito
di rosso, quindi non lo vedo come confessore. Qui è evidente che c’è
chi ha deciso in un senso e chi ha deciso in un altro. Ci sono stati
interventi stimolanti. Non solo l’amico Bertani che tenta di dare
una risposta a tutte le ansie che abbiamo, ma anche Brunetti, Paolo
Lombardi.
Noi abbiamo le carte in regola su questo
discorso della riforma, perché io mi ricordo il Congresso Nazionale
di Genova del 1974 – un po’ indietro nel tempo – ha prodotto un
volumettino “Crisi e riforma del sistema politico italiano”.
Correva l’anno 1974.
È vero che avevamo qualche riferimento in
Parlamento, perché c’era il Partito Repubblicano Italiano, che al
di là di tutti i limiti di un partito politico, era il più vicino
alle nostre impostazioni, alla nostra convinzione che riguarda
Mazzini, l’Italia e anche l’Europa – non dimentichiamola, anzi
la prospettiva è quella.
Abbiamo fatto un altro Congresso Nazionale,
vivo ancora Tramarollo, nel 1980 a Terni “La repubblica assediata:
attuazione o riforma della repubblica”, che voleva dire sistema
parlamentare riformato o sistema presidenziale.
E questo è stato il grande dilemma che ha
lacerato, in un certo momento, il Partito Repubblicano, ma anche
l’Associazione Mazziniana. C’erano notevoli esponenti, c’era
Leo Valiani, c’era Randolfo Pacciardi, che erano presidenti
dell’???
già nel 1946/48 nella Costituente, però avevamo capito che in quel
momento… Lo diceva Randolfo Pacciardi, me lo ricordo.. però
ritenevo che uscita l’Italia dall’esperienza fascista, pensavo
che non potesse permettersi assolutamente di non fare così, ossia
scegliere un sistema parlamentare.
Quindi abbiamo le carte in regola come
Associazione. Non è che abbiamo trovato tanti interlocutori,
all’interno del Partito Repubblicano non abbiamo trovato granché.
C’era qualcuno che era più sensibile alle nostre posizioni e
quindi ci offriva un po’ di appoggio, ma anche quando avevamo
questo ausilio, ma… Cristina Vernizzi giustamente mi diceva “Certo
che se riuscissimo ad avere una qualche rispondenza nel parlamento
attuale”. Allora qua c’è il discorso del sistema politico, c’è
il discorso della classe politica. Ma qua è tutto impossibile.
“Poche e caute leggi, ma vigilanza attenta
nell’esecuzione” – Mazzini, 1849; “La Repubblica è quel
governo in cui nessuno può rubare impunemente” – Mazzini, 1870.
Non ci siamo da questo punto di vista, perché
Renzo Brunetti, già stamattina, parlava della decrescita della
repubblica. Non crescita, non è cresciuta, ma anche è tornata
indietro la società civile. È questo il dramma. Poi giustamente
l’amico Piffer rilevava che l’analfabetismo non è che sia un
fenomeno ormai sconosciuto in Italia. A parte che c’è un milione
di persone che non sa tenere una penna in mano, poi qualche altro
milione sa fare a malapena la propria firma e poi ci sono questi che
non riescono a mettere insieme un discorso che non sia fatto di
quattro parole. Questo è un dramma, poi aggravato dal fatto anche
del mondo giovanile, perché è chiaro che dobbiamo puntare sui
giovani e qualcuno riesce ancora a recepire il messaggio di Mazzini,
il messaggio personale di Mazzini, perché qualcuno nel grande mare
magnum di internet arriva a Mazzini, all’Associazione Mazziniana,
legge Mazzini e rimane folgorato. C’è anche questo fatto, lo
abbiamo sperimentato direttamente, ed è un fatto di grande
rilevanza, di grande auspicio, perché vuol dire che un uomo, che è
vissuto 200 anni fa, riesce ancora ad avere qualcosa da dire.
Ma se noi valutiamo la desolazione che abbiamo
davanti, siamo fregati.
Allora dobbiamo cercare giustamente, come dice
Paolo Lombardi, di puntare sui giovani. Però, guardate che è venuta
fuori una cosa… Pochi giorni fa, lo avrete letto sui giornali,
hanno scoperto un gran traffico di libri ceduti a metà prezzo.
Gravissimo.
Allora Renzi, al di là dell’errore madornale
che, secondo me, ha fatto di andare a personalizzare il referendum,
cosa che non si doveva assolutamente fare, come del resto, per me, ha
fatto benissimo l’Associazione Mazziniana – l’avevo detto un
anno fa - a rimanere fuori ufficialmente da queste cose, perché
altre associazione come l’Associazione Nazionale Partigiani di
Italia credo che abbia ricevuto solamente discredito da come si è
inserita e mossa all’interno del dibattito sul referendum. Questa è
una mia opinione personale, suffragata, comunque, dal fatto che ne
siamo rimasti fuori, ciascuno ha fatto la propria scelta e questo ci
ha, secondo me, giovato come associazione, non ci ha portato nessun
tipo di discredito.
C’è stato questo fatto, e con questo chiudo…
è stato scoperto che Renzi ha pensato di dare 500 euro a tutti
quelli che compivano 18 anni, senza nessuna garanzia. Allora io sono
d’accordo a dare 500 euro a uno che compie 18 anni, ma gli dico
“Vuoi 500 euro? Te li do, però tu mi dimostri che segui un piccolo
corso, qualche lezione, leggi magari – ecco qua che manca lo Stato
– leggi una dispensina, in cui ci sono contenuti gli elementi
fondamentali di un’educazione repubblicana”. Eh sì, si torna
sempre lì, poi volentieri io do i 500 euro. Faccio un esamino… ci
vuole un impegno. “Nil sine studio”, niente senza impegno.
Invece è saltato fuori che con questi 500
euro, compravano i libri, non li leggevano e poi li rivendevano a
metà prezzo sottobanco. Questo è finito su internet, perché si
credeva che rimasse segreto, invece alla fine tutto viene fuori.
Allora, senza illuderci tanto, io ritorno alle
due realizzazioni che, secondo me, al di là di tutte le altre
iniziative, l’AMI ha prodotto “Il cuore della Repubblica”, che,
secondo me, è un libro che, oltre a essere una benemerenza, va
utilizzato, perché è la storia di 70 anni di un’associazione,
nata nel buio che sappiamo, come del resto la Giovine Italia era nata
nel buoi che sappiamo. Sempre un manipolo di persone che, nel caso
del 1831, era dominata da questa personalità eccezionale, da
quest’uomo profetico, da quest’uomo che il dono della profezia ce
l’aveva, che sapeva vedere lontano. E quindi, secondo me, deve
essere sfruttato per il 70° della Repubblica. Quello che la
Repubblica non ha fatto, e lo ribadisco, quello che la Repubblica
Italiana non ha finora fatto per celebrare il suo 70° e quindi tutta
la storia, che è una storia profondamente intrecciata con la storia
nazionale.
E l’altro, permettetemi perché abbiamo anche
partecipato in prima persona, con un relatore fondamentale che è
Stefano Biguzzi, il convegno su Cesare Battisti a Trento.
In questo paese siamo arrivati al punto che di
Irredentismo e Interventismo non si può più parlare, non se ne
poteva più parlare in passato e non se ne può parlare ancora oggi,
se non per esaltare il grande e benefico impegno e modello
dell’Austria-Ungheria e di Francesco Giuseppe, di cui ricorre il
centenario della morte. Io ritengo che sia stata una benemerenza
questa dell’Associazione Mazziniana e sempre nella linea della
profezia.
Cosa possiamo fare noi ancora di più? Una
piccola associazione come la nostra che si mantiene a stento?
Cerchiamo di studiare in questo senso, di impegnarci in questo senso.
“Il cuore della Repubblica” lo presenteremo anche altrove, lo
presenteremo a Roma il 25 marzo, ci sarà Antonio Carioti.
Facciamo del nostro meglio. Chi ha idee, si
faccia avanti. Chiaro che chi non fa, non sbaglia.
Grazie.
Cristina VERNIZZI.
Una breve informazione. A Torino, nel luglio di
quest’anno, si ricordano i 100 anni del monumento a Mazzini.
Pensate, inaugurato nel 1917 da un gruppo di mazziniani che hanno
sfidato le autorità, perché tra loro c’era anche quel Terenzio
Grandi, che era stato messo in prigione per evitare eventuali
disordini pubblici, in una giornata assolata in cui, naturalmente,
c’era il Principe di Piemonte. Per cui, dicono le cronache – e lo
dicono poi le documentazioni d’archivio -, i mazziniani si fecero
in disparte e non aderirono all’inaugurazione che avvenne poi nel
pomeriggio, quando le autorità sabaude se n’erano andate, si
appropriano del loro monumento e finalmente poterono anche cantare il
“Fratelli d’Italia” inneggiando a quei principi che, in quel
momento, erano messi al bando. Ecco, noi faremo questo e vedremo di
organizzare una cerimonia adeguata, perché stiamo già cercando di
interessare anche le autorità locali.
Una breve osservazione su quanto è stato detto
oggi. È stata messa moltissima carne al fuoco su tutti quelli che
sono gli elementi su cui l’Associazione potrebbe lavorare. Dico
potrebbe, perché, probabilmente, le armi che noi abbiamo, al di là
della buona volontà, del volontarismo, dell’idea di diffondere
tutte queste idee, di più forse non riusciamo a fare, salvo forse,
ed è quello che in parte mi fa collegare a quanto ha appena finito
di dire l’amico di Bologna, formare una classe politica. Dopo che
sono finiti i partiti, sono finite le formazioni della classe
politica. Questi politici improvvisati, che vengono fuori da scuole
così mal formate e così mal strutturate, che garanzia ci danno che
potranno essere veramente i continuatori di qualcosa in cui noi
crediamo, quella democrazia, che qui aleggia in varie maniere e in
vari modi. Che fiducia possiamo avere in un’Europa mandata avanti
da persone che, com’è stato visto nelle cronache di questi giorni,
te la disdicono un giorno e te la confermano il giorno successivo.
Quindi, io penso che tra gli elementi che noi dovremmo fare di
sensibilizzazione, sarebbe senz’altro quello di divulgare, certo,
tutto quanto è stato detto sulla riforma… Per inciso, la
disoccupazione giovanile. Se non c’è una riforma del lavoro, come
può esserci un’occupazione stabile giovanile? È impensabile. E la
riforma del lavoro non viene fatta e le aziende, piccole o grandi che
siano, continuano a chiudere e vanno all’estero. Ci sono dei motivi
economici e commerciali per cui tutto questo avviene e su cui nessuno
prende provvedimenti.
Dicevo, questa classe politica. Si parla di
scuola. Benissimo tutto quello che è stato detto, io lo sottoscrivo,
perché ho voluto e voglio continuare a fare attività all’interno
di un convitto che mi consenta di parlare direttamente e di dialogare
con insegnanti e con giovani, però è molto difficile. A loro
interessa molto l’attualità, ma un’attualità molto breve, l’800
non c’è più nella loro attualità, non c’è più nemmeno il
‘700. E quindi si fa molta fatica per educare nella scuola e, a
maggior ragione, quella classe politica, a cui noi dovremmo affidare
le sorti nostre e di quelli che verranno dopo di noi. Perché se non
esiste una classe politica degna di questo nome, che faccia una polis
non per interessi personali, ma che sia quella mazziniana, per il
bene comune, noi non sapremo a chi consegnare questa nostra società.
Quindi, io penso e mi viene il dubbio, che
rimetto a voi, se non sia davvero necessario, affinché i nostri
sforzi abbiamo un esito veramente concreto, che non si possa adottare
un politico, anche se è fuori dal nostro percorso tutto questo. Però
quando si va nella storia, si dice “In quel momento, i repubblicani
fecero così, i socialisti fecero cosà”. I mazziniani, oggi, cosa
possono dire, cosa possono fare, se non sono supportati da qualcuno
che abbia il potere di parlare e di far sentire la sua voce?
Grazie.
Alessandro AUGURIO.
Volevo fare innanzitutto una considerazione,
che in pratica è già iniziata oggi con questi colloqui, che
qualcosa che forse non avevamo intravisto, grosso modo, al congresso
è che, in effetti, stiamo assistendo al fatto che è lo stato della
repubblica, o meglio lo stato della democrazia che sta cambiando a
livello europeo, a livello centrale, come se, da una parte, avessimo
le costituzioni che sono state fatte tenendo conto di una democrazia
rappresentativa, dall’altra parte un processo strano, che a volte
si richiama alla democrazia diretta e a volte è anche schizofrenico.
Abbiamo situazioni in cui si va a votare con percentuali altissime di
astensione, poi magari per certi argomenti c’è una forte
partecipazione.
Quindi sono cose su cui ritengo sia opportuno
concentrarsi. In questo periodo, fare una fotografia dello stato
della democrazia, quello che sta cambiando, tenendo conto dei
cambiamenti sociologici, politici, culturali. E poi, soprattutto,
fotografare lo stato di quella che sarà la politica estera del
futuro, cioè con quello che sta accadendo, la politica estera sarà
sempre più una politica estera machiavellica, di opportunismo e di
prevaricazione. Questo è il problema principale.
Se prima, magari, noi facevamo affari con
autocrati, con dittatori per risorse energetiche, poi magari c’era
la parte finale “Sì, però lo stato dei diritti umani, ecc.”,
ora non ci sarà più nemmeno quello. Quindi questa è una situazione
molto preoccupante. Dobbiamo come associazione fare una fotografia
anche del problema della gestione dei rapporti internazionali che sta
accadendo. Ne parlavo prima con Caruso. In effetti, noi stiamo
assistendo a una sorta di nuovo periodo tipo “Bet
or Loose”, cioè un cambiamento
globale a livello economico, a livello internazionale, quindi
qualcosa sicuramente possiamo e dobbiamo dire.
Riguardo all’Associazione, sono consapevole
che non c’è più un partito di riferimento e che molti scalpitino
per fare di più, però ci sono associazioni in tutti i paesi, ad
esempio in Germania c’è l’Istituto Schopenhauer. Noi abbiamo la
particolarità che abbiamo un grande pensatore, che ha un pensiero
dannatamente politico, questo però non significa ovviamente che
l’Associazione debba trasformarsi in un partito politico o debba
fare politica. Però, una domanda che mi viene rivolta spesso a
Napoli, anche nell’associazione è “Ma poi voi giovani cosa fate
dopo?”. Cioè, nel senso che qui avviene il momento di formazione…
Diciamo che si dovrebbe affrontare il problema, ma l’Associazione
può fare un gancio, ma poi con chi? Nel momento in cui si dialoga
con qualcuno, si scende sul campo politico oppure, altrimenti, fai
formazione per tutti. Cioè i ragazzi vengono qui, si formano, poi
prendono la propria decisione e decidono dove collocarsi
politicamente.
Questo è un problema abbastanza spinoso, cioè
far parte di un’associazione come l’Associazione Mazziniana. Noi
possiamo scendere in piazza per i principi, ma non possiamo scendere
in piazza per il singolo programma politico, perché poi altrimenti
la funzione stessa dell’associazione diventerebbe abbastanza
ambigua.
Quindi, magari, questo periodo potrebbe essere
un momento per riflettere, per capire come voi potete indirizzare noi
giovani sotto questo aspetto politico. Chi vuole domani fa il
politico, ma magari invece qualcuno si iscrive all’associazione
solo per fare cultura, per fare ricerca. Però se vogliamo fare un
discorso di classe dirigente, è ovvio che almeno noi siamo
spiazzati. Cioè se io dovessi indicare un partito dove collocarmi,
per me non c’è.
Quindi, ripeto, io rimango sempre dell’idea
dell’associazione politica, ma apartitica, che è una cosa
abbastanza differente.
Daniele MASSARRI.
Sono sicuro di darvi una notizia che come
mazziniani vi renderà estremamente orgogliosi. Prima ho cercato di
sintetizzare al massimo parlandovi di tutte le cose che si sono fatte
e, appunto, ho accennato al calendario. E la prof.ssa Bracco parlava
appunto della funzione pedagogica del mazzinianesimo e con questo
calendario, con una sola fava, abbiamo preso tre piccioni. Il primo,
contemporaneamente in più di 200 famiglie italiane, o meglio più o
meno in giro per tutta l’Italia, ma prevalentemente nella zona
Piombino – Val di Cornia, mese per mese abbiamo fatto proprio
quest’opera pedagogica, vale a dire febbraio la Repubblica Romana;
marzo la morte di Mazzini; aprile l’AMI e la Resistenza; giugno la
Festa della Repubblica; luglio la commemorazione della Giovine
Italia; agosto l’Irredentismo – prima si parlava di Cesare
Battisti, ma agosto fu il mese in cui venne impiccato Nazario Sauro
-; settembre la Breccia di Porta Pia e la laicità; ottobre il
compleanno dell’Inno d’Italia; novembre l’Interventismo e i
Mazziniani nella Grande Guerra; in dicembre ho messo quello che si
può fare per l’Associazione Mazziniana, quindi ho parlato del 5
per mille, ho scritto che è possibile fare le liberalità
deducibili, ecc., ossia come ci possono sostenere. Vi ho messo a vivo
un anno di mazzinianesimo, guardate quante cose facciamo, se sotto
Natale vi ricordate di noi tanto meglio: questo è il messaggio
subliminale. Ma il terzo piccone qual è? E penso che questo vi
renderà orgogliosi. È il fatto che tutto il ricavato di questo
calendario, oltre ad aver fatto questa doppia missione, lo abbiamo
investito e inviato a La Isabela. Cos’è La Isabela? È la più
antica città del Nuovo Mondo, si trova nella Repubblica Dominicana,
ai confini con Haiti, è il punto in cui arrivò Cristoforo Colombo
quando scoprì l’America. La Isabela è una città che fu fondata
nel 1493 e, ovviamente, prese il nome da Isabella di Spagna ed ebbe
un momento di grandissimo splendore. Immaginate da lì partì tutta
quella che fu poi la colonizzazione, fu il primo enclave cristiano,
ecc. Per contro, adesso, stanno vivendo, per tutta una serie di
situazioni e, in ultimo, il terremoto e le inondazioni, una povertà
assoluta. Grazie al ricavato di questo calendario e di questa azione
che abbiamo fatto, per la quale io busso cassa anche qua, abbiamo
fondato nella prima città del Nuovo Mondo, da ora, grazie a questo
calendario, il Padrinado Giuseppe Mazzini, che non è nient’altro
che la replica di quello che fu fatto da Giuseppe Mazzini a Londra,
ovvero una scuola, le vecchie scuole di paese dove si prendevano
queste masse di bambini analfabeti dalla prima fino alla terza media,
divisi in maniera un po’ approssimativa, ma comunque da oggi esiste
questa realtà. Quindi, dall’altra parte del mondo c’è il
Padrinado Giuseppe Mazzini nella prima città del Nuovo Mondo.
Attualmente sono 103 bambini.
Nicola POGGIOLINI.
Si potrebbe fare come per le adozioni a
distanza che l’Associazione Mazziniana invia un piccolo contributo,
perché con un modesto contributo fanno tante cose, e continuare a
tenere aperto questo Padrinado. Io penso che l’Associazione possa
accettare una proposta di questo genere.
Intendo che il lavoro non deve essere solo
sulle spalle della sezione di Piombino, ma coinvolgere l’AMI come
Direzione Nazionale. Cioè trovare nelle pieghe del bilancio, un
piccolo contributo da sommare a quello che mettono insieme loro e
rendere un po’ più consistente quello che doniamo.
Mario DI NAPOLI.
A conclusione di questo dibattito, credo che
possiamo tutti quanti considerare positivo che ci sia stata una vera
occasione di libero confronto e di scambio civile di opinioni, che mi
fa piacere poter registrare. Così come io ho sempre ritenuto che
l’Associazione non dovesse dividersi tra berlusconiani e
anti-berlusconiani, non verrò certo a ritenere che l’Associazione
si debba dividere tra renziani e anti-renziani. Abbiamo accettato
questo tipo di discorsi, perché fanno parte del libero confronto, ma
non attengono evidentemente al merito dell’attività
dell’Associazione che non è pro o contro un leader politico.
La nostra riflessione prosegue e, come
accennavo prima, oggi l’obiettivo numero uno è garantire al paese
una legge elettorale e ritengo che l’Associazione debba fare un
appello, che io proporrei in questi termini: “La Direzione dell’AMI
fa appello al Parlamento perché, nel più breve tempo possibile,
faccia uscire il paese dalla presente condizione di sospensione
dell’esercizio della sovranità popolare, dovuta alla mancanza di
una legge elettorale omogenea per entrambe le Camere, a seguito
dell’esito referendario e alla luce del pronunciamento della Corte
Costituzionale. Lamenta ancora una volta come la riforma elettorale
del 2005 abbia scavato un fossato fra eletti ed elettori, che ha
fortemente indebolito la democrazia rappresentativa. Auspica che le
forze parlamentari trovino il senso di responsabilità necessario per
superare gli interessi presumibili di un immediato tornaconto ed
assicurino all’Italia un sistema elettorale che tenga in equilibrio
il principio della rappresentatività e quello della governabilità
ristabilendo il circuito fiduciario tra cittadini e istituzioni, che
è l’anima della Repubblica.”
Questa è una proposta che io faccio come
dichiarazione della Direzione che mi sembra ponga questo obiettivo
primario. Poi il resto, ma intanto questo è il minimo.
Volevo fare soltanto una considerazione. Perché
questo appello non può essere abbinato alla nuova legge elettorale,
visto che ne ha parlato anche Brunetti e visto che il più
anti-partito dei partiti, Forza Italia, Romani nel parlare sulla
fiducia ha detto “Noi vogliamo che ci sia la regolamentazione della
vita dei partiti”, l’ha detto Romani. E c’è un disegno di
legge del PD.
Allora, siccome noi vogliamo arrivare alle
prossime elezioni con la legge elettorale nuova, perché non
arrivarci anche con dei partiti organizzati in maniera più civile
nel predisporre le liste?
Mario DI NAPOLI.
È una cosa che abbiamo detto altre volte.
Adesso inserirle in questo documento, attenuerebbe il senso del
messaggio.
Una legge elettorale omogenea per entrambe le
Camere. Con il bicameralismo perfetto non può essere omogenea.
Nicola POGGIOLINI.
Allora mettiamo in approvazione. Chi approva?
La maggioranza.
Mario DI NAPOLI.
Come diceva anche Renzo Brunetti, ovviamente
non è che il tema delle riforme è finito. D’altra parte, è un
pungolo che esiste nel paese. Io condivido che oggi, mi sembra sia
un’osservazione fatta anche da Lombardi, è più importante quello
che succede a livello europeo, e ci tornerò, però comunque esistono
delle disfunzioni del sistema istituzionale. Del resto, Bossari ci
ricordava che già da 40 anni l’Ami riflette su questo e quindi io
credo che come ci riflettiamo da quarant’anni, dobbiamo continuare
a rifletterci.
Io credo che abbia sintetizzato bene la
situazione l’amico Piffer, quando ci ha ricordato la situazione –
che poi invece sarebbe stato saggio – dello spacchettamento, che la
materia referendaria era talmente vasta, che era difficile dire…
uno poteva essere mezzo per il “sì” e mezzo per il “no”.
Ecco perché il “sì” e il “no” è stata una scelta per tutti
difficile e complicata, perché indubbiamente c’era del bene e
c’era del male. Ecco perché io dicevo che non era questa la strada
per la revisione.
E, in un certo senso, quello che c’era di
buono dovrebbe essere recuperato, perché indubbiamente rientrerebbe
in un…
Ora non è quello dell’attualità. È
evidente che non potrà più essere questo parlamento a mettere mano
né a riforme istituzionali né a riforme costituzionali e quindi
questo sarà un lascito per il prossimo parlamento.
E altrettanto concordo, ed è anche molto bella
la suggestione di farci promotori di una Costituzione Europea, perché
effettivamente qui è il tema. Ora, indubbiamente, il tema che oggi
ci fa preoccupare è proprio la disgregazione dell’Europa, cioè
noi oggi andiamo a celebrare il 60° dei trattati, ma, in realtà,
con un’Europa fortemente in crisi, perché pressata da un’America
che va in una direzione diversa, da una Russia che ha chiaramente
interesse a indebolire l’Europa, perché ha temuto che l’Europa
europeizzasse l’Ucraina, e non dimentichiamoci che un’Europa,
libera e democratica, ai confini della Russia è una minaccia per il
regime sostanzialmente autocratico che governa la Russia. La Russia
ha fatto la battaglia contro l’Ucraina europea proprio per impedire
che la liberale democrazia europea arrivasse ai suoi confini. Non
delle dimensioni che sono tre staterelli baltici che stanno là, ma
di un paese enorme come l’Ucraina che, invece, in qualche modo fa
parte della Russia, è staccata, ma ne è in qualche modo una
componente essenziale di tutta la sua storia e di tutta la sua
tradizione.
Ora, oggi l’Europa paga il gravissimo errore
fatto rinunciando alla Costituzione Europea precedentemente
elaborata. Quella Costituzione, per quanto difettosa, faceva però un
primo passo importante, che è stato troppo velocemente eliminato –
certo, anche in quel caso, alla luce di alcuni referendum in Francia
e in Olanda, ma referendum che sono stati in un certo senso voluti,
perché ha fatto piacere a tutti che quella Costituzione non si
facesse. In primis, alla Germania della Merkel, la quale ha voluto a
tutti costi non fare la Costituzione, boicottare la Costituzione,
proprio per immaginare questa Europa a guida tedesca.
Ora, anche questo progetto di Europa a guida
tedesca ho l’impressione che nell’attuale scenario globale rischi
fortemente. Io mi auguro che i tedeschi rinsaviscano e capiscano che
questo loro disegno egemonico, per cui loro, in fondo, hanno messo
gli uni contro gli altri, perché chi ha creato questa
contrapposizione tra i Paesi del Nord e i Paesi del Sud Europa? È
stata proprio la Germania, che ha alimentato questa contrapposizione,
di cui in fondo loro sono stati in qualche modo i mediatori e gli
artefici.
Io mi auguro che questo disegno egemonico, che
non appartiene alla storia dell’integrazione europea, che invece è
sempre stata portata avanti sulla base di un principio paritario,
venga accantonato alla luce dei più pericolosi scenari che si vanno
profilando, che sono scenari di disgregazione, e che a questi si
risponda con uno sforzo di maggiore integrazione, soprattutto tra
Francia, Italia e Germania. Perché, arrivando al nocciolo del
problema, il resto dell’Unione Europea è ancora molto lontano.
L’importante è che questi tre paesi agiscano in modo tale da
creare una vera integrazione politica.
Certo, oggi tutti i segnali sono in direzione
diversa, però io concordo con l’idea che proprio nelle situazioni
più critiche, certe cose che appaiono molto di là da venire,
possano invece acquisire una loro fattibilità, proprio perché
favorite dai rischi che incombono sulla nostra strada. Per cui
probabilmente, non domani, non quest’anno che ci sono le elezioni,
ma l’anno prossimo, secondo me, potrebbe essere il momento buono
per far maturare una situazione tale da riaprire il cantiere per una
Costituzione Europea o perlomeno per una maggiore integrazione
politica tra i principali paesi.
E noi, come Mazziniani, dobbiamo lavorare in
anticipo. Possiamo lavorare e darci da fare in questa direzione.
Voglio poi raccogliere l’ultima osservazione
dell’ultimo intervento di Alessandro Augurio, che è uno dei
giovani che sta animando la rete della Giovine Europa, insieme ad
altri che ci sono. È vero che noi scontiamo un gap generazionale, ma
è anche vero che stiamo lavorando su questo terreno e qualche
risultato lo abbiamo ottenuto. Ora noi siamo una scuola di educazione
politica e non generazionale, siamo un’associazione di educazione
politica a tutto campo e quindi non possiamo chiaramente militare
partiticamente, ma al tempo stesso ci siamo sempre posti questo tema
ed esiste questo tema della mancanza di una rappresentanza. Non tanto
del collateralismo, perché l’AMI, in realtà, anche ai tempi del
Partito Repubblicano, era molto meno collaterale di quanto si possa
immaginare, anzi spesso era in dissenso. Ma si pone il problema di
una rappresentanza non dell’AMI in quanto tale, ma della cultura
politica laica, che oggi non ha una sua rappresentanza politica.
Quindi è evidente che benché l’AMI non abbia la vocazione a
diventare un partito, perché corrisponderebbe a snaturare l’AMI, è
anche vero che qualunque nostra iniziativa è politica e noi non
rinunciamo alla dimensione politica. E al tempo stesso dovremmo,
secondo me, - e l’abbiamo fatto in passato, ma potremmo anche
riprenderlo - essere sensibili a questo tema, al tema, cioè, che nel
paese deve rinascere una forza politica di ispirazione laica. Questo
è un tema di cui l’AMI non può essere protagonista istituzionale,
ma di cui i mazziniani, individui singoli, devono essere partecipi e
quantomeno porsi il problema.
Poi chi ha volontà di fare politica, anche se
non c’è una forza politica in cui si riconosce pienamente, è
libero di fare le sue scelte e di militare, come molti di noi
militano nei presenti partiti politici, all’interno dei quali si
possono portare avanti e far valere idee anche di stampo mazziniano.
Ma ribadisco che come non c’è stata in
passato, e se c’è stata era sbagliata, non è la prospettiva del
collateralismo che anima l’AMI. Certo, tanto per non far nomi, un
partito come il Partito Democratico sarebbe felicissimo se noi
facessimo un passo verso il Partito Democratico, perché sono alla
ricerca di… Noi possiamo interloquire con quella e con altre forze
politiche, ma dobbiamo però interrogarci effettivamente se il
sistema politico italiano sia oggi consegnato alle attuali coordinate
o se, invece, non sia ormai aperta una campagna molto diversa, che
potrebbe riaprire notevolmente gli scenari attuali, a cui – ripeto
– dobbiamo restare sensibili, perché è vero che l’AMI non è un
partito, ma l’AMI non può ignorare che l’assenza di una
rappresentanza della cultura politica della democrazia laica e
repubblicana è un obiettivo impoverimento del Parlamento.
p.5) Varie ed
eventuali (ratifica nuove adesioni)
(anticipato dopo l’introduzione del Presidente)
Esauriti tutti gli argomenti, la seduta è tolta ad ore 19.30
La SEGRETARIA
VERBALIZZANTE
IL PRESIDENTE
Chiarella
PENNUCCI
Mario DI NAPOLI
Chiarella PENNUCCI Mario DI NAPOLI