lunedì 16 novembre 2015

Rappresentanza politica e legge elettorale







(Contributo di Angelo Morini per il XXVII Congresso Nazionale dell’A.M.I. di Terni)

Oggi viviamo un periodo di grave crisi, anche sotto l’aspetto del sistema elettorale adottato, e, infatti, piaccia o no l’anomalia italiana ha costretto i suoi cittadini ad ingoiare ben tre riforme  dal 1993 ad oggi, e ad accettare l’idea che queste riscritture siano fatte, non per durare nel tempo, ma su misura delle forze politiche presenti.
In particolare il sistema introdotto con legge ordinaria n. 270/2005, il c.d. Porcellum si fonda su una formula elettorale proporzionale, ma con dei correttivi maggioritari tanto incisivi (clausola di sbarramento e premio di maggioranza) da essere classificato come sistema maggioritario di coalizione.

Gli estensori di questa legge avevano indotto i cittadini nell’illusione di una riduzione di quel multipartitismo che, in precedenza aveva contraddistinto l’esperienza politica italiana, un’aspettativa delusa in quanto, nonostante il meccanismo maggioritario, l’offerta politica si è ulteriormente frammentata per non dire moltiplicata.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittime alcune norme si è tornati a parlare di legge elettorale, ma si fatica a comprendere fino in fondo il senso delle proposte messe a confronto.

Le leggi elettorali non sono buone o cattive di per sé, ma in relazione al momento in cui vengono applicate; la proporzionale era l’unico sistema che poteva essere adottato nel 1946 ed ha evitato che nel 1948 si fronteggiassero la Democrazia cristiana e il Fronte popolare, sostenuto dal blocco social-comunista, che notoriamente tendeva a privilegiare rapporti con l’Est europeo, sotto il controllo dell’Unione sovietica.
Nello stesso tempo però ha prodotto il consociativismo assembleare, come rimedio ad una democrazia bloccata dall’impossibilità di alternanza alla guida del Paese da parte di schieramenti contrapposti.

Dopo le riforme degli ultimi anni dichiarate non conformi alla Costituzione da parte della Corte Costituzionale, i sistemi cui fare riferimento, sono sostanzialmente tre:
1. il maggioritario inglese, sistema radicalmente diverso che non terrebbe nella dovuta considerazione la storia politica del nostro Paese, che è anche la storia dei partiti italiani, e con il rischio di un trasformismo alla De Pretis;
2. il maggioritario francese, con il ballottaggio in due turni elettorali, la prima sui candidati dei diversi partiti e la seconda sugli schieramenti contrapposti che lo stesso sistema costringe a formare;
3. il sistema proporzionale tedesco che in pratica è un sistema proporzionale corretto, dove si forma un unico collegio uninominale per la scelta del premier, mentre si vota con il proporzionale per tutti i partiti che avranno i loro rappresentanti in Parlamento solo a condizione che raggiungano il 5% dei voti su scala nazionale, ma che di fatto ha la conseguenza di sacrificare i partiti minori.

Dal progetto scaturito negli ultimi tempi, in seguito all’accordo fra i due principali schieramenti, leggiamo dalla stampa che si punta a concentrare i poteri decisionali nell’esecutivo, a ridurre gli spazi delle istituzioni di controllo, a esasperare il bipartitismo obbligatorio che conferisce pieni poteri a quella formazione politica che ottiene un voto in più, anche se ben lontana dall’aver ottenuto il consenso della maggioranza degli elettori.
Il presupposto politico è che governare il paese sia una questione di potere; qualcuno deve avere un potere decisionale pressoché incontrastato. Ma allora poniamoci la domanda: “A cosa serve il Parlamento?”
Se l’obiettivo è quello di formare il governo che abbia il sostegno elettorale della maggioranza dei cittadini, allora tanto vale riformare la Costituzione, magari abolendo tutto il Parlamento e svolgere elezioni solo per eleggere il premier e il suo governo.
Ricordo quel fondamentale principio della separazione dei poteri che sta alla base della democrazia nei paesi occidentali per cui i cittadini europei, fin dalla rivoluzione francese, hanno lottato per quest’ordine di idee.

In un sistema democratico l’organo che ha il compito di legiferare e quello che deve provvedere alla gestione della cosa pubblica (res publica, appunto) debbono rimanere separati e indipendenti nella propria funzione.
La corte costituzionale, nel sancire l’illegittimità costituzionale di un sistema elettorale che conferisce la maggioranza assoluta dei seggi ad un partito o ad una coalizione a prescindere dal numero dei voti conseguiti, ha ribadito che la nuova legge elettorale deve assicurare la necessaria rappresentanza alle diverse formazioni associative della società (partiti), con la possibilità di introdurre meccanismi di stabilizzazione dei governi, che però non possono essere sproporzionati perché rischiano di comprimere alcuni principi costituzionali come l’uguaglianza del voto e lo stesso fondamento pluralistico che sono paletti caratteristici della nostra democrazia.
C’è allora da chiedersi se il meccanismo previsto per l’Italicum rispetti il principio che sia garantita la possibilità di conoscere i candidati che verranno scelti in base alle indicazioni degli elettori nei singoli collegi.

La lista bloccata che si presenta in ogni circoscrizione elettorale, con pochi nomi riconoscibili non garantisce per nulla l’elettore, il quale, votando per quei candidati, può in realtà concorrere ad eleggere tutt’altro esponente politico presentato in altra circoscrizione, e questo grazie al riparto proporzionale dei seggi effettuato a livello nazionale.
Il sistema elettorale in discussione consente al partito che ottiene il 37% dei voti di acquisire una maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei deputati pari al 55%, e il marchingegno di un secondo turno di votazione, definito pretestuosamente di ballottaggio, ma il riferimento a quei sistemi di ballottaggio già in uso in altri paesi è alquanto improprio: infatti in quei sistemi elettorali il ballottaggio è applicabile in caso di una pluralità di candidati ad una carica unica e fra di loro nessuno che abbia ricevuto i consensi necessari, per cui occorre procedere ad una seconda votazione, limitando la scelta ai candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti.

L’Italicum provvede a modificare solo la composizione numerica della Camera dei deputati, rispetto al risultato elettorale, in modo da trasformare una minoranza di voti in una maggioranza di seggi, prevaricando il principio democratico della rappresentanza.
Il c.d. premio di maggioranza, per quanto a mia conoscenza, non esiste e non sarebbe neppure auspicabile in nessuna delle democrazie occidentali e il solo precedente al riguardo e quello della legge truffa del 1953 che imponeva un quorum di almeno il 50% più uno dei consensi per l’attribuzione del premio.
Vi è un’unica esperienza di una maggioranza attribuita alla lista più forte anche in minoranza di voti ed è quella della Legge elettorale del 1923, la legge Acerbo.

Angelo Morini
Ravenna, 15 novembre 2015

giovedì 12 novembre 2015

APPUNTI A MARGINE DELLA RIUNIONE
DEL 29 OTTOBRE 2015


Il giorno 29 ottobre u.s. si è tenuta la seconda riunione del comitato che si è posto l’obiettivo di dare vita al Coordinamento Regionale Lombardo. L’incontro si è tenuto presso gli uffici di Eros Prina (AMI Milano) e ha visto la presenza di: Gianna Parri (Monza) – Paolo Lombardi (Brescia) – Aurelio Ciccocioppo (Gallarate) – Pierantonio Volpini (Bergamo) – Eros Prina (Milano) oltre al sottoscritto ed al Segretario di AMI Milano, Chico Sciuto.

Dalla riunione è emerso (sinteticamente):
G. Beccaceci. Le ricerche scaturite dalla riunione precedente hanno permesso di conoscere la situazione di  Mantova,Voghera, Pavia, Lodi e Cremona. In particolare: Mantova -- Lombardi ha inviato a tutti la situazione con i riferimenti di alcuni iscritti e commenti sulla situazione organizzativa. Si tratta di una realtà da seguire coinvolgendola nelle prossime iniziative
 Voghera -- Beccaceci ha contattato Tizzoni che già riceve le nostre email all’indirizzo segreteria@fivl.eu (fivl sta per Federazione Italiana Volontari della Libertà).
 Pavia  --  Non esiste alcuna presenza. Lodi -- Si è sciolta. E’ durata solo un anno
 Cremona --  Poggiolini parla di una presenza di iscritti ma non molto operativa per una età media degli iscritti elevata.

G. Parri. Ricorda che a Pavia esiste una associazione di storia patria che può essere contattata per creare iniziative comuni. Suggerisce di chiedere agli amici di Voghera cosa sia possibile fare per recuperare una presenza su Pavia.

Poiché si era parlato delle brutte condizioni del sacrario di Groppello Cairoli suggerisce di verificarne quelle attuali. Ritiene utile contattare una associazione di Varese  (Varese 1859) che ha ricordato uno dei fratelli Cairoli e ha ristrutturato il museo del Risorgimento.

Lombardi. Prende atto delle possibili e potenziali iniziative elencate ma suggerisce metodologicamente di concentrarci prima sulla creazione della “struttura” e sulla identificazione del “Coordinatore”.

Volpini. Suggerisce di individuare un obiettivo comune a tutte le sezioni. Esempio che tutte le scuole abbiano la Costituzione come libro di testo. Ritiene necessario l’utilizzo dei moderni strumenti informatici per aumentare la visibilità della Associazione, delle future iniziative delle sezioni Lombarde e del costituendo Comitato.

Prina. Afferma che sarebbe utile anche la distribuzione del testo della Costituzione europea.

La riunione è terminata con l’impegno di Beccaceci di contattare gli amici di Voghera per organizzare un possibile incontro e sempre Beccaceci si recherà a Groppello Cairoli per verificare lo stato del sacrario della famiglia Cairoli e poi riferire.

Si è deciso di tenere le riunioni del Comitato a rotazione fra le varie sedi della associazione, non escludendo che la prossima riunione possa essere a Voghera.

Volpini dichiara la sua disponibilità a creare Sito, Google Group e/o prodotti equivalenti/simili.
Si deve individuare una persona che possa assumere la responsabilità di Coordinatore. Considerando che Brescia è la sezione più strutturata si suggerisce di individuare al suo interno la persona cui affidare l’incarico. Lombardi farà una verifica e alla prossima riunione, con data da definire, riferirà.
Giorgio Beccaceci

martedì 10 novembre 2015

Contributo di Paolo Lombardi sulle modifiche alla Costituzione Italiana



10 Ottobre 2013
Cari tutti, mi sento di dire due o tre cose. Quando si decide di modificare la gran parte della Costituzione, logica e buon senso mi dicono che non la si modifica ma che se ne fa un'altra. Se è così, io credo che sia legittimato solo ed esclusivamente un metodo costituente, democratico e popolare. Quello intrapreso non è un percorso costituente e questo, per me, inficia tutta l'opera. Potranno poi fare una bellissima riforma, ma non è questo il punto. 

E perché esca una bella riforma possiamo solo sperare nell'insania principis, perché il nostro principe, oggi, non è certo illuminato. Chi è il principe? Col porcellum ci fondiamo su una oligarchia/monarchia che nomina  Parlamento e Governo, che non è nemmeno il regno degli ottimati, data la generale mediocrità culturale, la totale carenza di  sapienza politica, l'illegalità  imperante e l'insulsaggine di chi fa leggi e regolamenti, oltre tutto in massima parte senza mai aver lavorato un giorno in vita sua. Tanto è vero che per fare la riforma costituzionale si deve ricorrere ai saggi pescati altrove, tanto si è impresentabili. 

Nessuno, poi, mi ha mai detto prima delle elezioni che si sarebbe rifatta la Costituzione, per cui il principe ha deciso motu proprio, una concessione tanto graziosa che il Governo la rivendica come cosa propria (lo vedo anche nei commenti di alcuni amici, fare un'altra Costituzione per dare credito all'esecutivo!). Il Parlamento alla fine può solo prendere o lasciare, come si fa con le colf clandestine a tre euro all'ora. E così sarà per la ratifica popolare, che non sarà certo l'imprimatur ex ante con elezione di delegati appositi come nel 1946. 

Quella riformata, dunque, ritengo sarà una carta ottriata, di quelle che a noi non piacciono se guardiamo alla storia e che non ci accorgiamo di avere davanti se guardiamo al presente. E quale legittimazione si potrà mai avere rivendicando percorsi costituenti in Europa, l'Europa dei popoli, se lasciamo passare il fatto che la Costituzione la possono fare i prìncipi? 

Peraltro, in questa generale crisi di tutto, non so proprio ricollegare cause specifiche al bicameralismo od al premierato, anche perché il Parlamento non è mai stato così conforme e spedito a rami uniti. Per cui son disposto a discutere di qualche modifica selettiva, ma se me ne si impone un'altra in questo modo protesto come mazziniano e come cittadino. Un caro saluto a tutti. 

Paolo Lombardi

martedì 3 novembre 2015

Riceviamo e pubblichiamo dalla Associazione Mazziniana Italiana Sezione “Giuseppe Tramarollo” Gallarate

 Documento approvato a  maggioranza dall'assemblea precongressuale della sezione AMI di Gallarate

Rifondare la Repubblica

Il sempre più profondo distacco tra cittadini e istituzioni repubblicane, plasticamente rappresentato dall’altissima percentuale di astensionismo che si registra a ogni tornata elettorale e dalla fuga di una grossa parte degli elettori verso movimenti anti-sistema e populisti, è un segnale che non può più essere ignorato e che al tempo stesso dà la misura di quanto le istituzioni stesse siano inadeguate alla soluzione dei problemi che si trovano ad affrontare.
Oltre alla crisi economica, la cui fase peggiore sembra sia passata, gravano sulla vita del Paese la scarsa sensibilità istituzionale e la pochezza culturale e morale di una parte sempre più consistente della classe dirigente - politica e amministrativa -specchio palese di una altrettanto scarsa maturazione politica e civile della società.

La combinazione di leggi elettorali che hanno man mano tolto agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, e il sistema di garanzie e di contrappesi disposti per il vigente bicameralismo, ha di fatto impedito - dal ’48 ad oggi - la formazione di esecutivi duraturi,
ma non ha evitato, per contro, modifiche della Costituzione a colpi di maggioranza e una legislazione bizantina, con leggi di difficile interpretazione anche da parte di chi dovrebbe applicarle, farle rispettare e sanzionarne i raggiri o gli abusi. Non si può tuttavia negare che non siano mancati, specialmente nella prima fase della Repubblica, anni segnati da buoni governi e dal varo di leggi che hanno dato decisivo impulso alla crescita culturale, economica e civile del Paese.

In relazione al tema posto dal prossimo Congresso Nazionale dell’AMI “Rifondare la Repubblica”, i mazziniani della sezione “Giuseppe Tramarollo” di Gallarate reputano che - nella salvaguardia dei principi costituzionali inalienabili di sovranità popolare e di indipendenza della rappresentanza parlamentare, obbiettivo centrale delle riforme sia quello di rimuovere gli ostacoli che hanno impedito, tanto nella prima quanto nella seconda repubblica, di avere esecutivi stabili e duraturi e un processo legislativo efficace per tempestività e chiarezza delle leggi prodotte.
Pertanto, ritengono che il processo riformistico in atto, teso a rafforzare il potere esecutivo e a superare il bicameralismo perfetto, differenziando le competenze di Camera e Senato, debba comunque realizzarsi mediante:

Una legge elettorale che preveda l’elezione diretta dei membri sia della Camera che del Senato e il voto preferenziale da parte degli elettori, si  da restituire al Parlamento rappresentatività e autorevolezza  ed evitare nel contempo che i Governi siano ostaggio di maggioranze arlecchino create al solo scopo elettorale.
Rafforzamento dell’Esecutivo con l’introduzione della mozione di sfiducia costruttiva e con il conferimento al Presidente del Consiglio della possibilità di “licenziare” i propri ministri, assicurando così governi duraturi.
Differenziazione dei compiti di Camera e Senato e affidamento a quest’ultimo di una funzione di garanzia e di collegamento con le istituzioni territoriali ed Europee.
Una legge attuativa dell’art. 49 della Costituzione, che stabilisca le regole politiche e organizzative dei partiti e ne ristabilisca la funzione di legame tra cittadini e istituzioni ai fini della determinazione della politica nazionale, nonché di canale insostituibile per la formazione e il rinnovo della classe dirigente.

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Tutto ciò premesso, i mazziniani ritengono, quindi , che debba essere respinta la legge di riforma del Senato che ne prevede l’elezione di secondo livello e riaffermano la necessità di elezione diretta proprio per le funzioni cui sarà chiamato ad assumere, tra le quali l’elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti della Consulta e del Consiglio Superiore della Magistratura e l’esame e approvazione dei disegni di riforma costituzionale.
Denunciano, inoltre, con forza il pericolo che il combinato disposto della riforma del Senato e dell’Italicum - considerando il metodo delle liste bloccate gravemente lesivo dell’autonomia del Parlamento - trasformi surrettiziamente il Paese in una repubblica presidenziale, monocamerale e fortemente squilibrata verso il Potere Esecutivo, che conferisce al Capo del Governo - non più Presidente del Consiglio - un esorbitante potere di controllo nei confronti di un Parlamento prevalentemente di nominati, rendendo di fatto il Potere Legislativo succube del Potere Esecutivo.
Per evitare una pericolosa deriva antidemocratica del Paese, confermano pertanto la necessità di un sistema che avvicini elettori ed eletti, che consenta ai primi di eleggere i propri rappresentanti e che ristabilisca l’equilibrio democratico dei poteri tra Governo e Parlamento.

Gallarate, 20 ottobre 2015

sabato 31 ottobre 2015

Pubblicato E-book "Progetto Mazzini"



Lettera ai mazziniani



C’è posto per i mazziniani nella società del XXI secolo? Ha ancora qualcosa da dire alle donne ed agli uomini della generazione 2.0 un pensiero politico formatosi due secoli fa in tutt’altra temperie storica ed alimentato nel tempo dalla sola luce dell’Ideale? La fede nella democrazia, l’aspirazione alla giustizia, la passione civile sono forse anticaglie del passato da relegare nella soffitta delle pie illusioni? Simili interrogativi non sono certamente nuovi e sono stati senz’altro nutriti a più riprese, ogni volta che i nostri predecessori si sono trovati a fare i conti più acutamente del solito con la dura realtà che non manifestava alcuna disponibilità a conformarsi alle loro utopie. 

 Oggi, tuttavia, essi risuonano con una nota di maggiore gravità che non può passare inosservata. La ragione è che molti dei punti di riferimento, che hanno a lungo accompagnato il percorso a zig-zag della democrazia italiana, sembrano essersi appannati senza dare segno di alcuna possibile rianimazione. La politica, una volta considerata la più nobile delle arti in cui l’uomo possa esplicitare la sua natura sociale, quella che avremmo scritto con la “p” maiuscola, non solo ha smarrito la sua funzione di progresso, ma pare condannata ad essere una sorta di “male oscuro” che contagia tutti quelli e tutto quello che ne viene a fare parte. 

L’Europa unita, il sogno di pace e di prosperità del vecchio continente finalmente resosi consapevole nel secondo dopoguerra di condividere un destino comune, sta crollando sotto i nostri occhi per i colpi incrociati della crisi monetaria e delle migrazioni di massa. La stessa Costituzione repubblicana, divenuta la pietra angolare del residuo sentimento nazionale degli italiani, è da più di un decennio oggetto di riforme ora inopinate ora disorganiche e sta finendo per ridursi a terreno di scontro politico mettendo seriamente a repentaglio la sua funzione di massima fonte di legittimazione del sistema democratico.

A fronte di un tale quadro, peraltro approssimato per difetto, la risposta negativa risulterebbe inappellabile, se non ci confortasse la ricerca di un livello più profondo dell’analisi dei fenomeni socio-politici, in cui siano individuati e denunciati impietosamente gli errori compiuti da quando, alla caduta del muro di Berlino, siamo stati chiamati ad aggiornare le nostre categorie. Se la Costituzione è in crisi, è colpa da un lato della sua mancata attuazione in alcuni ambiti qualificanti tra cui lo statuto pubblico dei partiti e dei sindacati, dall’altro della sua mitizzazione come “la più bella del mondo” alla stregua di una sacra scrittura invece che di una carta fondamentale sottoposta al pari di ogni istituzione umana al divenire storico. 

Se l’integrazione europea si rivela inferiore alle aspettative, è colpa da un lato della vischiosità delle sovranità nazionali di classi dirigenti che vedono sempre più restringersi i margini del loro potere, dall’altro dell’acquiescenza acritica con cui si è fatto crescere un europeismo di mera facciata fortemente centralista. Se la politica ha perso drammaticamente credibilità, è colpa da un lato della corruzione dilagante del sistema dei partiti che non hanno opposto resistenza agli interessi economici, affaristici e criminali, dall’altro della strumentalità dei cosiddetti “contropoteri”, dalla magistratura all’informazione, che hanno preferito giocare in proprio una sorta di supplenza piuttosto che attenersi alle loro funzioni costituzionali.

Ma che cosa impedisce di andare alla radice delle questioni e quindi sviluppare soluzioni invece che adagiarsi sterilmente nell’invettiva, ormai padrona assoluta del dibattito pubblico, che non è poi altro che una forma solo più chiassosa della rassegnazione? C’è un nodo troppo trascurato, anche se in realtà alquanto eclatante, che non viene mai adeguatamente problematizzato, vale a dire l’interazione tra la crisi politico-istituzionale e la trasformazione tecnologica ed informatica della società. Va da sé che non è la prima volta che l’umanità affronta un cambiamento epocale, ma oggi quel che fa la differenza è il fossato che si amplia tra le generazioni, l’affievolirsi della memoria storica, la rottura della continuità dello Stato. 

L’Italia vive più pesantemente tali circostanze dal momento che, a differenza di altri paesi, la funzione di mediazione tra i cittadini e le istituzioni, che è vitale perché una democrazia non sia soltanto formale, sembra ormai irrimediabilmente compromessa. In altri contesti nazionali, hanno assolto a tale ruolo i corpi intermedi, le tradizioni di governo locale, le burocrazie, talora anche le monarchie. In Italia, anche a causa della tardiva unificazione e della relativa debole legittimazione, soltanto nel secondo dopoguerra il rapporto tra cittadini ed istituzioni ha trovato una cinghia di trasmissione in un soggetto sia pure imperfetto come sono stati i partiti politici. 

Nel bene e nel male, per alcuni decenni, almeno sino al fallimento del centro-sinistra, essi hanno colmato una lacuna, promuovendo la selezione della classe politica, l’equilibrio tra i poteri costituzionali, lo sviluppo economico e civile, la gestione degli interessi contrapposti. Questa funzione storica, pur svolta tra alterne vicende e contraddizioni, si è via via esaurita trasformando il punto di forza del sistema politico nel suo punto di debolezza ovvero di massima vulnerabilità. Da allora, l’Italia vive un vuoto di volta in volta riempito da improvvisati “uomini della provvidenza”, movimenti populistici, tecnocrati a mezzo servizio, ingenerando quel sentimento di inarrestabile declino del Paese che sta facendo ripiegare gli italiani nell’egoismo, nel materialismo, nel relativismo.

RIFONDARE LA REPUBBLICA è allora il motto che come mazziniani italiani lanciamo per il prossimo congresso che terremo a Terni nel mese di novembre, proprio per risvegliare la coscienza nazionale e riannodare la relazione fiduciaria tra cittadini e istituzioni, parlando il linguaggio della verità. E’ venuto il momento di archiviare la retorica dell’antipolitica, prendendo atto che la democrazia è chiamata in tutto il mondo ad affrontare una sfida epocale che può essere affrontata soltanto sulla base della consapevolezza dei suoi limiti. Là dove i partiti politici hanno fallito, le culture politiche mantengono ciononostante i loro valori che possono essere riaffermati dalle associazioni come l’AMI che hanno tutte le carte in regola per rianimare il dibattito pubblico, ripartendo dalle fondamenta, cioè dal principio fondamentale della Repubblica che risiede in una costituzione vivente, fatta di un popolo realmente sovrano, di istituzioni realmente rappresentative e di una classe politica realmente governante.

Nell’Italia del XXI secolo, il pensiero mazziniano può quindi contribuire significativamente all’educazione politica, vale a dire alla ridefinizione della cittadinanza repubblicana che implica termini oggi assai poco praticati: il senso di appartenenza alla comunità, il diritto-dovere del lavoro, l’impegno civile, l’auto-formazione, la partecipazione al voto ed alla vita pubblica. Queste sono le caratteristiche che distinguono una Repubblica repubblicana da una semplice forma di governo non monarchica, una democrazia sostanziale da una formale, una società viva ed operosa da una ripiegata su se stessa.

Una politica rilegittimata che sia capace di indirizzare il cambiamento in una logica di governo della complessità, un’Europa federale e solidale in grado di affrontare la globalizzazione in quanto soggetto unitario, una Costituzione attuata nella sua integrità e recuperata nella sua dimensione di catalizzatore democratico sono gli obiettivi che come mazziniani ci proponiamo per ripristinare il tessuto morale della Repubblica e che porteremo avanti con la consueta determinazione che ci viene da una gloriosa tradizione etico-politica che ha ancora molto da dire per riallacciare le fila del presente e del passato con l’avvenire.

Statuto dell’Associazione Mazziniana Italiana



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