(Contributo di Angelo Morini per il XXVII Congresso Nazionale dell’A.M.I. di Terni)
Oggi viviamo un periodo di grave crisi, anche sotto l’aspetto del sistema elettorale adottato, e, infatti, piaccia o no l’anomalia italiana ha costretto i suoi cittadini ad ingoiare ben tre riforme dal 1993 ad oggi, e ad accettare l’idea che queste riscritture siano fatte, non per durare nel tempo, ma su misura delle forze politiche presenti.
In particolare il sistema introdotto con legge ordinaria n. 270/2005, il c.d. Porcellum si fonda su una formula elettorale proporzionale, ma con dei correttivi maggioritari tanto incisivi (clausola di sbarramento e premio di maggioranza) da essere classificato come sistema maggioritario di coalizione.
Gli estensori di questa legge avevano indotto i cittadini nell’illusione di una riduzione di quel multipartitismo che, in precedenza aveva contraddistinto l’esperienza politica italiana, un’aspettativa delusa in quanto, nonostante il meccanismo maggioritario, l’offerta politica si è ulteriormente frammentata per non dire moltiplicata.
Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittime alcune norme si è tornati a parlare di legge elettorale, ma si fatica a comprendere fino in fondo il senso delle proposte messe a confronto.
Le leggi elettorali non sono buone o cattive di per sé, ma in relazione al momento in cui vengono applicate; la proporzionale era l’unico sistema che poteva essere adottato nel 1946 ed ha evitato che nel 1948 si fronteggiassero la Democrazia cristiana e il Fronte popolare, sostenuto dal blocco social-comunista, che notoriamente tendeva a privilegiare rapporti con l’Est europeo, sotto il controllo dell’Unione sovietica.
Nello stesso tempo però ha prodotto il consociativismo assembleare, come rimedio ad una democrazia bloccata dall’impossibilità di alternanza alla guida del Paese da parte di schieramenti contrapposti.
Dopo le riforme degli ultimi anni dichiarate non conformi alla Costituzione da parte della Corte Costituzionale, i sistemi cui fare riferimento, sono sostanzialmente tre:
1. il maggioritario inglese, sistema radicalmente diverso che non terrebbe nella dovuta considerazione la storia politica del nostro Paese, che è anche la storia dei partiti italiani, e con il rischio di un trasformismo alla De Pretis;
2. il maggioritario francese, con il ballottaggio in due turni elettorali, la prima sui candidati dei diversi partiti e la seconda sugli schieramenti contrapposti che lo stesso sistema costringe a formare;
3. il sistema proporzionale tedesco che in pratica è un sistema proporzionale corretto, dove si forma un unico collegio uninominale per la scelta del premier, mentre si vota con il proporzionale per tutti i partiti che avranno i loro rappresentanti in Parlamento solo a condizione che raggiungano il 5% dei voti su scala nazionale, ma che di fatto ha la conseguenza di sacrificare i partiti minori.
Dal progetto scaturito negli ultimi tempi, in seguito all’accordo fra i due principali schieramenti, leggiamo dalla stampa che si punta a concentrare i poteri decisionali nell’esecutivo, a ridurre gli spazi delle istituzioni di controllo, a esasperare il bipartitismo obbligatorio che conferisce pieni poteri a quella formazione politica che ottiene un voto in più, anche se ben lontana dall’aver ottenuto il consenso della maggioranza degli elettori.
Il presupposto politico è che governare il paese sia una questione di potere; qualcuno deve avere un potere decisionale pressoché incontrastato. Ma allora poniamoci la domanda: “A cosa serve il Parlamento?”
Se l’obiettivo è quello di formare il governo che abbia il sostegno elettorale della maggioranza dei cittadini, allora tanto vale riformare la Costituzione, magari abolendo tutto il Parlamento e svolgere elezioni solo per eleggere il premier e il suo governo.
Ricordo quel fondamentale principio della separazione dei poteri che sta alla base della democrazia nei paesi occidentali per cui i cittadini europei, fin dalla rivoluzione francese, hanno lottato per quest’ordine di idee.
In un sistema democratico l’organo che ha il compito di legiferare e quello che deve provvedere alla gestione della cosa pubblica (res publica, appunto) debbono rimanere separati e indipendenti nella propria funzione.
La corte costituzionale, nel sancire l’illegittimità costituzionale di un sistema elettorale che conferisce la maggioranza assoluta dei seggi ad un partito o ad una coalizione a prescindere dal numero dei voti conseguiti, ha ribadito che la nuova legge elettorale deve assicurare la necessaria rappresentanza alle diverse formazioni associative della società (partiti), con la possibilità di introdurre meccanismi di stabilizzazione dei governi, che però non possono essere sproporzionati perché rischiano di comprimere alcuni principi costituzionali come l’uguaglianza del voto e lo stesso fondamento pluralistico che sono paletti caratteristici della nostra democrazia.
C’è allora da chiedersi se il meccanismo previsto per l’Italicum rispetti il principio che sia garantita la possibilità di conoscere i candidati che verranno scelti in base alle indicazioni degli elettori nei singoli collegi.
La lista bloccata che si presenta in ogni circoscrizione elettorale, con pochi nomi riconoscibili non garantisce per nulla l’elettore, il quale, votando per quei candidati, può in realtà concorrere ad eleggere tutt’altro esponente politico presentato in altra circoscrizione, e questo grazie al riparto proporzionale dei seggi effettuato a livello nazionale.
Il sistema elettorale in discussione consente al partito che ottiene il 37% dei voti di acquisire una maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei deputati pari al 55%, e il marchingegno di un secondo turno di votazione, definito pretestuosamente di ballottaggio, ma il riferimento a quei sistemi di ballottaggio già in uso in altri paesi è alquanto improprio: infatti in quei sistemi elettorali il ballottaggio è applicabile in caso di una pluralità di candidati ad una carica unica e fra di loro nessuno che abbia ricevuto i consensi necessari, per cui occorre procedere ad una seconda votazione, limitando la scelta ai candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti.
L’Italicum provvede a modificare solo la composizione numerica della Camera dei deputati, rispetto al risultato elettorale, in modo da trasformare una minoranza di voti in una maggioranza di seggi, prevaricando il principio democratico della rappresentanza.
Il c.d. premio di maggioranza, per quanto a mia conoscenza, non esiste e non sarebbe neppure auspicabile in nessuna delle democrazie occidentali e il solo precedente al riguardo e quello della legge truffa del 1953 che imponeva un quorum di almeno il 50% più uno dei consensi per l’attribuzione del premio.
Vi è un’unica esperienza di una maggioranza attribuita alla lista più forte anche in minoranza di voti ed è quella della Legge elettorale del 1923, la legge Acerbo.
Angelo Morini
Ravenna, 15 novembre 2015