sabato 5 agosto 2017

Comunicato emesso dall'A.M.I. a seguito della delibera approvata alcuni giorni fa dal Consiglio regionale della regione Puglia per istituire una giornata della memoria per "i meridionali morti in occasione dell'unificazione italiana" fissandone la data al 13 febbraio, giorno della caduta di Gaeta.



C O M U N I C A T O

L’Associazione Mazziniana Italiana
Esprime il proprio stupore e la propria indignazione

per l’approvazione da parte del Consiglio Regionale della Puglia di una mozione che istituisce ufficialmente una “Giornata della Memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia”.
Tale delibera, approvata in pieno clima estivo e senza nessun autentico dibattito che coinvolgesse l’opinione pubblica, la società civile e il mondo scientifico pugliesi e nazionali, costituisce un autentico colpo di mano finalizzato esclusivamente a soddisfare le minoritarie, ma rumorose, frange neoborboniche ed è espressione del pressapochismo con cui, troppo spesso, la classe politica e le istituzioni pubbliche affrontano i grandi nodi del dibattito storiografico, manifestando un interesse puramente strumentale e demagogico per la dimensione pubblica e civile della riflessione e della ricerca storica e più ampiamente scientifica.

In nome di una supposta e mai esistita Borbonia felix, e dei suoi presunti primati, la delibera del Consiglio regionale pugliese dimentica completamente il ruolo di protagonista avuto nel Risorgimento dalle province meridionali, dalla Rivoluzione napoletana del 1799 ai moti del 1820-21, al 1848, che ebbe a Palermo il proprio inizio europeo, sino all’impresa garibaldina che vide partecipare decine di migliaia di meridionali a fianco dei volontari provenienti da tutta Italia e non solo. Un’impresa che, vale la pena ricordarlo a chi così male conosce la storia italiana e meridionale, non si concluse, come per le altre regioni italiane, con l’annessione “alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II” ma con la rivendicazione nei plebisciti dell’adesione all’“Italia Una e Indivisibile”.

Paradossalmente la mozione approvata, individuando nella caduta di Gaeta – che, per altro, non fu nemmeno l’ultima fortezza borbonica ad arrendersi – la propria data simbolo, non rende giustizia neanche alla causa che vorrebbe sostenere, riducendo le complesse ragioni sociali, politiche economiche e religiose che animarono il cosiddetto “Grande Brigantaggio” alla mera componente militare e legittimista.

Frutto ultimo di una stagione di superficialità e di spregiudicata manipolazione della Storia a proprio uso e consumo, questa “Giornata della Memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia” affonda le proprie radici nel terreno inquinato di un sudismo vittimista che non ha nulla a che vedere con la tradizione meridionalista che da Pasquale Villari a Gaetano Salvemini e Guido Dorso sino a Tommaso Fiore, Manlio Rossi Doria, Ugo La Malfa e Francesco Compagna ha sempre pensato alla questione meridionale come ad una grande questione nazionale, immaginando un Sud Mezzogiorno d’Europa, lontano da ogni chiusura identitaria e da ogni nostalgia reazionaria.

Fa appello

alla maturità dell’opinione pubblica, della società civile e del mondo scientifico pugliesi meridionali e italiani, perché rifiutino la logica rituale della rievocazione di una memoria che, in quanto tale, non può che essere soggettiva, limitata e di parte, e promuovano una nuova stagione di ricerca, riflessione e divulgazione storica, cui sin d’ora l’A.M.I. offre tutto il proprio supporto, sulla partecipazione delle province meridionali e in particolare della Puglia al Risorgimento, nella convinzione che se il dibattito storico non può sottrarsi alle ragioni della politica solo dalla buona Storia può nascere la buona Politica.

A tal fine promuove l’organizzazione di un primo momento di riflessione collettiva per il prossimo 18 ottobre, in ricordo del 18 ottobre 1794, quando il ventiduenne patriota repubblicano pugliese Emanuele De Deo venne impiccato, primo martire del Risorgimento, dal paterno governo borbonico.

Genova, 4 Agosto 2017







Verbale della riunione della DIREZIONE NAZIONALE a MILANO, sabato 21 gennaio 2017


ASSOCIAZIONE MAZZINIANA ITALIANA onlus
SEGRETERIA NAZIONALE

Prot. SN/03/2017/DN Ai Componenti la DIREZIONE NAZIONALE
Modigliana, 05 luglio 2017 Ai Presidenti delle Sezioni A.M.I.
e p. invito a: Ai Probiviri e Revisori Conti
Rappresentanti A.M.I. in Enti federati : CNDI e CIME
Dott. Claudio Desideri Condirettore de l’A.M.

Verbale della riunione della DIREZIONE NAZIONALE
a MILANO, sabato 21 gennaio 2017

La Direzione Nazionale si riunisce sabato 21 gennaio 2017 ad ore 8 in Ia e ad ore 15,00 in IIa convocazione a MILANO - Sala Facchinetti (g.c.)c/o la Società Umanitaria in Via San Barnaba, 48 per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno:
  1. Adozione dell’odg
  2. Approvazione verbale seduta precedente
  3. Comunicazioni del Presidente
  4. Dibattito politico istituzionale
  5. Varie ed eventuali (ratifica nuove adesioni)
La riunione è estesa, su invito, ai Probiviri e Revisori Conti, Rappresentanti A.M.I. in Enti federati CIME e CNDI, a Claudio Desideri – condirettore l’A.M.
Sono presenti per la DN: Mario DI NAPOLI, Massimo BERTANI, Lorenzo BRUNETTI, Giorgio BECCACECI, Rosella CALISTA, Franco CALZOLARI, Pietro CARUSO, Romano CAVAGNA, Michele FINELLI, Paolo GUERRIERO, Paolo LOMBARDI, Lamberto MAGNANI, Pasquale MINIERO, Angelo MORINI, Francesca PAU, Chiarella PENNUCCI, Nicola POGGIOLINI, Fulvio SALIMBENI.
Assenti giustificati D.N.: Maurizio CATANIA, Andrea GIARDI, Antonella GREGGI, Benito LORIGIOLA, Agostino PENDOLA, Laura SIPALA.
Assenti Segretari Aggiunti: Maria Pia ROGGERO.
Presenti Revv.CC. effettivi: Alessandro AUGURIO, Carlo SIMONCELLI.
Assente Revv.CC.effettivo: Stefano COVELLO.
Presenti Collegio Probiviri Effettivi: Silvio POZZANI, Alfonso RODELLA.
Assente Collegio Probiviri Effettivi: Rino CASADEI.
Presenti Collegio Probiviri Supplenti: Cristina VERNIZZI.
Assenti Collegio Probiviri Supplenti: Gennaro ESPOSITO.

Presenti Revv.CC. Supplenti : NESSUNO.
Assenti Revv.CC. Supplenti : Nora CONTEDINI, Franco FEDERICI.
Presente rappresentante nominato al C.I.M.E.: Milena MOSCI.
Inoltre presenti presidenti o rappresentanti delle seguenti sezioni:
Brescia, Cagliari, Gallarate, Gorizia, Livorno, Milano, Monza, Piombino, Rimini, Treviso, Trento, Bologna,
Varese
(in via di costituzione)
Presiede : Mario DI NAPOLI
Verbalizza : Chiarella PENNUCCI

p.1) Viene messo in votazione l’odg. L’ordine del giorno viene adottato all’unanimità.
p.2) Viene messo in votazione il verbale della seduta precedente che viene approvato.
p.3) Comunicazioni del Presidente

Introduzione ai lavori
Il Presidente apre il suo discorso anticipando un primo bilancio positivo: l’impegno di pubblicare il volume “Storia dell’Associazione”, di scoprire la lapide che grazie all’impegno degli amici della sezione di Milano è stata affissa al Museo del Risorgimento ed avviare anche una riflessione sullo stato della repubblica. Al Presidente farebbe piacere che l’odierna iniziativa sia replicata perché l’opera della sua storia dell’AMI meriterebbe di essere presentata almeno in ogni regione.
Il Presidente è abbastanza persuaso che ci possa essere un interesse, non solo del mondo accademico, a discutere della storia dell’AMI come di una componente essenziale della storia della cultura laica nel secondo dopoguerra.
Come ogni volta che veniamo a Milano, la sezione, che rappresenta la culla dell’Associazione, ci ospita e questo è motivo di grande soddisfazione per tutti. Mi piace inoltre
Il Presidente sottolinea che il comitato regionale è stato costituito anche in Lombardia rappresentando quindi un ulteriore tassello che conferma la vitalità dell’Associazione e la volontà di lavorare assieme.
Prima di procedere con le sue comunicazione il Presidente (anticipa il p.5) e da la parola al Segr.Naz.le per la ratifica di nuove domanda di adesione all’AMI da parte di nuovi iscritti che costituiranno la nuova sezione di Varese.
Le domande vengono accettate e viene Ratificata la nuova sezione di Varese, dal momento che la Segr.Naz.le avrà ricevuto il verbale di costituzione della sezione con le firme dei soci fondatori, questo per accelerare i tempi. L’Assemblea APPROVA.

Mario di NAPOLI
Il Presidente ritiene opportuno fare il punto sulle prossime iniziative ed alcune riflessioni sull’esito referendario di dicembre.
Ricorda gli impegni per il 2017: partecipazione alla manifestazione federalista (Roma il 25 marzo) ed impegno di tenere, a lato dell’evento, una nostra iniziativa che ricolleghi i 60 anni dal Trattato di Roma allo spirito della Giovine Europa; tale iniziativa è stata avviata con il “Decimo colloquio mazziniano”, è un tema centrale che unisce politica e società.
Il Presidente a questo proposito riterrebbe opportuno redigere un numero speciale de “Il Pensiero Mazziniano” con una sezione di articoli di approfondimento.

Il Presidente ricorda, inoltre, che sono stati programmati: a giugno un viaggio in Francia nell’ottantesimo del martirio dei Fratelli Rosselli ed ad aprile un campus giovani.

Affronta una riflessione sotto due punti di vista su quella che è stata la vicenda del referendum del 4 dicembre: quello che è stato il ruolo dell’Associazione rispetto a questa vicenda che, secondo lui, ha alimentato negli ultimi mesi alcune contrapposizioni superflue; il percorso successivo delle nostre istituzioni, che è ancora molto incerto e problematico.

Sottolinea che l’Associazione Mazziniana non è un partito politico, non è un movimento politico, e, al tempo stesso, non è neanche un istituto di studi storici.
Fin dalla fondazione l’Associazione Mazziniana ha scelto di vivere una condizione che deriva dall’esigenza di unire il passato e il presente verso il futuro confrontandosi con i temi dell’attualità.
Nel 2006 l’Associazione ha preso delle posizioni molto chiare sul referendum costituzionale che, a quell’epoca, sottoponeva al voto la riforma del Centro-destra.
Il Presidente crede che temi come quelli della Costituzione travalichino l’aspetto della competizione tra i partiti e quindi non ci sia motivo di censurarsi o di non prendere posizione su questo.
Il congresso che si è tenuto a novembre a Terni, del resto, votò una mozione congressuale con valutazioni fortemente critiche nei confronti della riforma, che già a quell’epoca si era delineata nei suoi contorni.
II Presidente ritiene però che ci sia qualche valutazione e forse anche auto-critica da fare, e qualche correttivo da introdurre nell’ Associazione.
E quindi noi dobbiamo, in un certo senso, lasciarci alle spalle queste contrapposizioni facendone tesoro per il futuro. Pur essendoci nell’Associazione un orientamento maggioritario per il “No al referendum”, è esistita anche una forte componente per il “Sì”, il che è legittimo, perché l’Associazione non ha mai preteso di dare un’indicazione di voto.

A questo proposito forse c’è stato anche un errore di comunicazione, il Presidente spiega che forse lui stesso possa aver usato qualche parola che ha accentuato una posizione e può essere stata interpretata come indicazione di voto, ma nessuno ha mai ritenuto che per essere iscritti alla Mazziniana bisognava votare in un certo modo e, fintanto che lui sarà presidente, questo non avverrà mai.

Al tempo stesso, però, in sede di congresso o anche in sede di direzione, questa posizione, che pure è esistita ed esiste nell’Associazione, non ha avuto molta voce e questo fa interrogare il Presidente, perché significa che la comunicazione interna dell’Associazione ha delle lacune, se una parte così consistente della base non arriva a far sentire il peso della sua voce agli organismi di direzione nazionale.

Il Presidente spiega come a lui sembra che qualche volta, soprattutto nelle comunicazioni su internet, il libero dibattito sia qualche volta un po’ trasceso e questo è stato, purtroppo, un po’ l’andamento di tutta la campagna elettorale.
Probabilmente perché si è voluto, sia da parte dei sostenitori che degli oppositori di questo referendum, caricare il voto referendario di aspettative molto superiori rispetto a quella che ne era la sostanziale materia. Abbiamo avuto un fronte del “Sì” che ha sostenuto, con lo slogan “Basta un sì”, che sarebbe bastato un sì perché l’Italia diventasse un paese moderno e abbiamo avuto dai sostenitori del “No” l’idea che il “Sì” avrebbe portato la dittatura in Italia.
Entrambe queste posizioni erano evidentemente fuori fase.

E quindi noi, secondo il Presidente, dobbiamo prendere atto dell’opportunità di non farsi spingere a questo tipo di semplificazioni, che hanno natura propagandistica, ma che lacerano il tessuto connettivo del Paese.
Noi abbiamo ricevuto da questo referendum un dato molto positivo: l’elevato tasso di partecipazione popolare, indipendentemente dal voto.
Quello però che a questo punto vorrebbe sottolineare è per il post-referendum.
Renzi deve porsi il problema della lettura della società e della conferma del suo forte distacco, perché se è pur vero che il 40% ha votato a favore, il 60% ha votato contro. Il che dimostra che una riflessione in più su cosa sia la conoscenza della società ai vertici dello Stato evidentemente non c’è.
L’altro punto è che per il combinato disposto di una riforma elettorale, che era fortemente collegata soltanto all’esito positivo di questo referendum, oggi però c’è un dato di fatto: oggi noi viviamo una condizione di democrazia bloccata, oggi il potere democratico non si può esprimere, perché non c’è, come il Capo dello Stato ha più volte richiamato, una legge elettorale applicabile. Ora noi viviamo una condizione in base alla quale, per una serie di circostanze che si sono intrecciate, l’esercizio della sovranità popolare oggi è sospeso.
In linea teorica, nulla impedirebbe al Capo dello Stato di sciogliere le Camere e di andare a votare e di eleggere un Senato con una legge elettorale e una Camera con un’altra legge elettorale.
La Corte Costituzionale ha rimandato la sua sentenza sull’Italicum, perché evidentemente non sapeva quale Costituzione fosse vigente, è evidente che l’Italicum è più o meno incostituzionale se c’è una costituzione o un’altra costituzione.

Paradossalmente, con la Costituzione con cui il Senato resta con una legge elettorale che è quella, a sua volta, prodotta dalla Corte Costituzionale con il Consultellum, oggi si potrebbe anche arrivare a concludere che l’Italicum sia costituzionale, perché consegnerebbe una Camera fortemente maggioritaria, ma manterrebbe un Senato più rappresentativo e quindi, in linea teorica, rispetto alle precedenti sentenze, verrebbero meno alcuni criteri che hanno fatto definire incostituzionale il Porcellum.
Salvo che la Corte arrivi ad affermare che l’Italicum è incostituzionale perché disomogeneo.
Tale fatto, da un punto di vista politico è affermabile ma, da un punto di vista della giustizia costituzionale, chiamando in causa un parametro che non sta nella Costituzione, ma in un’altra legge ordinaria, lascia alcuni dubbi al Presidente.

Al momento comunque resta il fatto che c’è stata l’esigenza di costruire un governo, che può essere di transizione, ma può essere anche di fine legislatura.

Secondo il Presidente esiste un’imminente scadenza: la scrittura di una nuova legge elettorale. Ma scrivere una nuova legge elettorale è un’impresa titanica.
Sin dalla prima applicazione del Porcellum, si parlava di riforma della legge elettorale giudicandolo inadeguato. Questo vuole che è un tema molto complicato.
L’obiettivo principale della legge elettorale è garantire un punto di equilibrio tra rappresentatività e governabilità. Quindi, in astratto, noi potremmo aprire un dibattito accademico e cercare qual è la miglior forma di governo possibile, come nel famoso concorso in cui Melchiorre entrò e rispose “la forma repubblicana”.
Qual è il miglior sistema elettorale per l’Italia? E potremmo fare dotte disquisizioni e valutare quale sia il sistema più adatto. Questo però non fa i conti con il fatto che ci vuole un parlamento, eletto col Porcellum e quindi fortemente squilibrato, che poi questa legge la deve approvare. E da qui l’esigenza di ciascun partito politico o gruppo parlamentare che sia non della ricerca di quale sia la migliore legge elettorale per il Paese, ammesso che sia possibile ricavare ciò, ma di quella che più conviene al proprio partito politico per vincere le elezioni o, comunque, avere un determinato numero di seggi. E questo fa parte del gioco democratico. La legge elettorale proporzionale in Italia fu introdotta soltanto nel 1919, dopo la Prima Guerra Mondiale; ci volle la guerra per convincere il parlamento, eletto fino all’epoca sulla base del sistema uninominale, ad accettare il sistema proporzionale. Cioè un parlamento che si suicidava solo davanti a una simile tragedia. Quindi, non è passeggiata quella di arrivare a una legge elettorale.

Noi dell’Associazione Mazziniana dobbiamo vigilare su questo processo che si aprirà a giorni e che si sarebbe già dovuto aprire, perché questa condizione di sospensione della democrazia, in cui noi oggi viviamo, è di una gravità inaudita; il popolo non può essere chiamato alle urne.
Questa situazione dovrebbe essere sanata nel più breve tempo possibile; avrebbe potuto esserlo anche prima della sentenza della Corte Costituzionale, se le forze politiche avessero avuto un sussulto di serietà: sarebbe stata la risposta di un parlamento e di una classe politica che recuperava le sue responsabilità.
È prevalsa invece una scelta di attesa. Non sappiamo quando la situazione si risolverà, non sappiamo se la sentenza della Corte diventa auto-applicabile o se, invece, avrà bisogno di un’ulteriore elaborazione e comunque il tema è aperto, tanto che comunque questa legislatura, che dopo il referendum sembrava destinata a breve durata, oggi tutti quanto pensano che arriverà alla fine della durata.

Secondo il Presidente, questa legislatura doveva finire pochi mesi dopo essere nata, perché avendo prodotto un parlamento sballato e ingovernabile, meno durava e meglio era, nel senso che si sarebbe dovuto votare, come del resto è stato fatto in Grecia e in Spagna, pochi mesi dopo. Invece in Italia noi abbiamo questo mito, perpetrato anche da certe interpretazioni, del ruolo del Presidente della Repubblica che sarebbe il garante del fatto che la legislatura debba arrivare al suo termine naturale, come se l’interesse generale del Paese avesse questo dogma. Quando invece è vero l’esatto contrario, ossia che il potere di scioglimento, in capo al Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti delle Camere, sta proprio nell’individuare il momento in cui è necessario ristabilire la corrispondenza tra corpo elettorale e rappresentanza parlamentare.
Ma il punto era sempre quello, che non si poteva sciogliere perché non c’era la legge elettorale che avrebbe corretto e quindi siamo entrati in un pieno circolo vizioso.

Ora noi dobbiamo vigilare perché si arrivi a una legge elettorale che garantisca, appunto, quel punto di equilibrio tra rappresentanza e governabilità e sani quella che è una vera e propria ferita che è stata inferta al circuito democratico con la legge elettorale del Porcellum che, di fatto, realizzava quello che diceva Berlusconi, cioè “Ma cosa ci sono a fare i parlamentari? Basta il capogruppo che vota per tutti.”
Perché una legge concepita in quel modo, con liste di candidati praticamente bloccate equivale a formulare questo tipo di parlamento.
Esiste poi un secondo tema su cui, secondo il Presidente, noi dobbiamo intervenire:
il Paese ha bisogno ancora di riforme e questo è un tema che non si può ovviare, su cui dobbiamo fare una riflessione e valutare proposte anche per trovare strade diverse.
Ci sono, ad esempio, moltissime riforme che possono essere fatte senza toccare la Costituzione.
Secondo il Presidente, uno dei difetti tecnici del progetto di riforma costituzionale è che conteneva tutta una serie di norme relative al governo in parlamento che non avevano bisogno di stare nella Costituzione, potevano essere inserite nei regolamenti parlamentari. Circa il Titolo V, il CNEL non era l’elemento chiave della riforma, atteso che, in teoria, il CNEL andrebbe difeso perché, almeno in astratto, è un’istituzione valida, poi che non abbia funzionato è un altro discorso. Il Titolo V è una situazione che, indubbiamente, andava regolata e quindi almeno quella parte della riforma dovrebbe essere recuperata in una successiva legislatura.

Quello, però, che sembra il punto chiave è che, evidentemente, questo esito referendario fa fortemente dubitare di tornare a proporre modifiche così consistenti della Costituzione sulla sola base dell’articolo 138. E in un certo senso dà valore in parte all’idea che noi in passato abbiamo sostenuto che ci voglia un’Assemblea Costituente quando si vuol fare una riforma così ampia della Costituzione, perché è difficile affidare all’articolo 138 il meccanismo del voto.
Il Presidente conclude con una riflessione molto precisa sul discorso referendario.
Quando la Costituente ha inserito nell’articolo 138 la norma del referendum era stato detto che se non si raggiungeva la maggioranza dei due terzi, si poteva ricorrere al referendum. Questa norma cosa voleva dire? Raggiungete a tutti i costi la maggioranza dei due terzi, non osate toccare la Costituzione se non avete raggiunto la maggioranza dei due terzi. Questo è il senso della norma del 138. Perché i costituenti erano ben consapevoli che quando norme così complicate e delicate, come quelle costituzionali, fossero state sottoposte a referendum, si creava soltanto il caos, perché non si può pretendere che i cittadini decidano con un “sì” o con un “no” centomila cose diverse.
L’errore di fondo è questo.
Che il referendum costituzionale era un’opportunità rarissima – invece siamo già alla terza volta - da prendere in considerazione davanti a un parlamento che ignorava quella che era un’indicazione precisa del Costituente di raggiungere la maggioranza dei due terzi, perché una maggioranza dei due terzi significava maggioranza e opposizione, cioè un consenso accertato nel Paese. Quando non si ha la maggioranza dei due terzi, buttare la cosa sul popolo comporta dei rischi notevoli anche legati a motivi contingenti di cui l’analisi sarebbe complicata. Ma questo era lo spirito del Costituente.
Mentre invece, da un po’ di tempo a questa parte, nel dibattito costituzionalista si dice “Facciamo la riforma, poi viene il popolo e l’approva” e quindi il crisma popolare porta a “Tutto va bene”. Così come anche oggi l’Italicum; si dice che è vero che non c’è la maggioranza, ma poi si fa il ballottaggio. Al ballottaggio il popolo vota e quindi dà comunque il crisma della legittimazione.
Queste sono tutte dimostrazioni di una classe politica che ha paura, si sente delegittimata e cerca la legittimazione all’esterno di se stessa per sfuggire dalla proprie responsabilità. È lo stesso comportamento di un Partito Democratico che si è affidato a Renzi, o ai suoi predecessori, con primarie aperte a tutti, una cosa inammissibile, perché un partito è composto dagli iscritti e quando si rivolge a tutti, vuol dire che nell’essere partito si sente talmente povero, debole e delegittimato, da dover ricorrere ad altri.
Sono tutte forme apparentemente democratiche e di grande apertura, ma sostanzialmente di prova di debolezza e di fuga dalle proprie responsabilità di assumere delle decisioni e di portarle fino in fondo.

Infine il Presidente sottolinea che anche la riforma più giusta della Costituzione non andava fatta da questo parlamento, perché un parlamento che già ha difficoltà a fare un governo e che sta in piedi malamente era proprio difficile che raggiungesse la maggioranza necessaria. Questa legislatura meno durava e meglio era dall’inizio. Sarebbe stato meglio che si fosse votato subito dopo l’esito elettorale, facendo un breve governo che faceva la legge elettorale e si votava alla fine del 2013, tranquillamente, come hanno votato in Grecia e in Spagna.
Comunque il Presidente ritiene che dobbiamo far tesoro di questa esperienza per una maggiore collegialità, partecipazione e condivisione delle idee all’interno dell’Associazione, evitando polemiche che spesso, a suo parere, sono state un po’ troppo condizionate dal clima generale, mentre invece noi, come Mazziniani, dobbiamo distinguerci sempre dal clima generale.

P.4) Dibattito politico istituzionale
Eros PRINA. Inizia il suo intervento con la lettura di quanto inviato il 24 ottobre scorso al “Corriere” dopo aver letto l’articolo pubblicato il 19 ottobre dal titolo “Meno contratti stabili e più licenziamenti”.
Confortante leggere che le uscite per giusta causa o giustificato motivo soggettivo sono in crescita del 28%, da 36.000 a 46.000, grazie alla introduzione del Jobs Act, una svolta che rappresenta un implicito riconoscimento per i lavoratori responsabili e consapevoli non solo dei propri diritti ma anche dei loro doveri. Altro conforto è stato l’apprendere in questi giorni che sia i “furbetti del cartellino”, sia i finti invalidi vengono licenziati in virtù della vigente Riforma della Pubblica Amministrazione, nota come la Riforma Madia. Mi piace ricordare, in proposito, che una delle mie due comunicazioni al Congresso dei Dottori Commercialisti del 1970 presso l’EUR - la prima era titolata “Le strtuture obsolete del sistema bancario italiano”- la seconda, sulla quale mi intrattengo, era titolata “Il problema dei problemi italiani ovvero la riforma burocratica”. Una riforma invocata e perseguita da decenni la cui attuazione basterebbe da sola a illuminare l’operato di un governo. Non intendo, tuttavia, sminuire la valenza della legge destinata al sistema produttivo privato, nota con il nome di Jobs Act i cui effetti positivi, apprezzati anche dagli investitori stranieri, sono in continuo seppur lento miglioramento.
L’impronta che caratterizza queste due riforme è il rispetto dei doveri imposto sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori, con la conseguente sterilizzazione della pervicace difesa che le forze sindacali e una certa componente della magistratura hanno impugnato per decenni a sostegno incondizionato del diritto al posto di lavoro, ignorando, appunto, i rispettivi doveri. E noi Mazziniani, sensibili per scelta, tradizione ed ispirazione al valore de “I doveri dell’uomo” dovremmo essere i più qualificati per valutare l’importanza delle due riforme dianzi commentate.
Però ritengo che anche la Riforma del Terzo Settore meriti un lodevole apprezzamento perché è rivolta al riconoscimento e al potenziamento dell’operosità e dell’impegno di almeno tre milioni di cittadini, controfaccia sociale dei dolosi furbetti, ma anche dei numerosi qualunquisti apatici e scettici, quella moltitudine che nel lontano 1925, anno che vide i miei natali, Einaudi definiva “rozzi, incolti e procaccianti”.
Altra riforma incisiva è quella denominata “La buona scuola”, le cui prescrizioni, calate nella variegata realtà dell’istruzione pubblica, stanno ottenendo non solo accondiscendenze, ma soprattutto clamorose critiche, meritevoli di attenzione, per i necessari aggiustamenti.
L’attività riformatrice ha interessato anche i beni culturali, con riflessi positivi sul turismo, il rilancio dell’agricoltura, la nuova legge “Dopo di noi” per assicurare l’assistenza postuma a persone con gravi disabilità, il divorzio breve, il canone Rai, lo scioglimento di Equitalia; ecc.
Qualcuno ricorderà che in pieno G20 a Hangzhou, lo scorso settembre, Obama ha espressamente citato come modello da seguire le riforme messe in campo dal Governo Italiano per far ripartire il Paese.
Da sottolineare, infine, la svolta dignitosa impressa ai rapporti con l’Unione Europea.
In generale è la crescita della fiducia dei consumatori e degli imprenditori che da alcuni mesi a questa parte si manifesta, evidentemente stimolata dalla constatazione che lentamente ma costantemente l’occupazione cresce.
È vero che l’Istat, contestualmente all’aumento dell’occupazione, segnala anche l’aumento della disoccupazione giovanile, il che appare contraddittorio ad una prima lettura; ma quando si legge che tale aumento è determinato dalla scelta di migliaia di giovani di uscire dalla compagine dei rinunziatari per immettersi nella schiera degli aspiranti lavoratori - appunto i disoccupati, si capisce che anche questa scelta è un segno di fiducia nel futuro.
Un episodio sintomatico l’ho vissuto ascoltando una trasmissione serale qualche settimana fa - penso “Piazza Pulita” - laddove, alla domanda del conduttore circa l’indicazione della loro alternativa a Matteo Renzi, il giornalista Damilano di “Repubblica” proponeva De Magistris - e non vi dico il brusio dei presenti, mentre il secondo autorevole giornalista, di cui non ricordo il nome, di “Libero” sviluppava il suo pensiero in questi termini: “Matteo Renzi ha dimenticato di essere un giovane di 41 anni. Avesse abbandonato totalmente l’arengo politico, dopo qualche tempo si sarebbero recati da lui in ginocchio per convincerlo a ritornare”. Una fantastica omologazione.
Concludo ribadendo la mia fiducia nell’uomo Renzi e nelle sue speciali doti di leader, piuttosto stimato anche dai referenti stranieri tanto che poco tempo fa un importante esponente politico e Segretario di Stato statunitense lo ha definito “una risorsa per l’Italia e per l’Europa”. Sta scritto che solo l’inerte non commette errori e che chi ha cessato di imparare è vecchio.
E se lo sciagurato esito referendario ha un merito, è quello di aver contribuito ad ampliare l’esperienza di Matteo Renzi, al quale incombe oggi il dovere di gestire accortamente, per il bene del Sistema Paese, la scelta compatta – e sottolineo compatta - di 13 milioni di sì”.
Un saluto fraterno a tutti.

Renzo BRUNETTI. Il 3 di dicembre, giorno prima del referendum, tutto il popolo italiano era dell’opinione che occorresse fare qualcosa circa le riforme della Repubblica. Il 5 dicembre non se ne parla definitivamente più.
Ma è certo che tutti avevamo detto che ritenevamo necessarie delle riforme della Repubblica. Per esempio, basterebbe citarne una sulla quale tutti sono d’accordo, ossia mille parlamentari per una popolazione di 60 milioni di abitanti sono un po’ eccessivi. Seconda: le province non ci stanno proprio nella Repubblica italiana, anche se sono nominate nella Costituzione. E la terza: partiti e sindacati devono essere regolati dalla legge.
Si tratta di una carenza della legislazione normale, in materia di libere associazioni.

Altre riforme necessarie sarebbero quelle alle quali si riferiva la relazione del Presidente, il 138, e riguardo la legislazione ordinaria, per esempio quella elettorale.

La repubblica è stata governata, nel bene e nel male, negli opposti estremismi. Non è cresciuta la repubblica, ma forse sarebbe cresciuta ancora di meno, se ci fosse stato il maggioritario.
E fu solo De Gasperi che il giorno dopo il 18 aprile 1948, rispetto al suo partito che chiedeva il governo monocolore democristiano, disse che doveva essere insieme ad altri partiti di democrazia laica.

Nella sua relazione, il Presidente ha detto che alcuni di noi si sono espressi – io sono uno di quelli – per una Costituente che abbia i poteri propri della Costituente per addivenire alle riforme che sono necessarie e non alla riforma di tutta la Costituzione, ma di quelle ritenute necessarie. E si dice “Ma noi temiamo….”. Temiamo che cosa? Temiamo le elezioni?, temiamo il popolo italiano? Temiamo, cioè, di ricorrere alla sovranità che, secondo noi, starebbe nell’articolo 1 ed è la base dalla quale e con la quale Mazzini elabora tutta la sua teoria e tutto il pensiero del quale siamo portatori? Siamo arrivati al punto nel quale abbiamo paura della sovranità del popolo? E allora diciamolo, come stamattina diceva Roberto Balzani. Se abbiamo paura della sovranità del popolo, dobbiamo dirlo, non facciamo più le elezioni, così almeno avranno spazio i dittatori di ieri e magari di oggi.
Dobbiamo parlarci un poco seriamente. Parliamo di riforme, parliamo di popolo, parliamo di Mazzini o parliamo di Metternich, parliamo di Bismarck? I discorsi si fanno seriamente, non si fanno per scherzo! Non si fanno, e lo dico perché rivendico, come mazziniano, ma soprattutto come cittadino, la facoltà… io mi sono espresso in direzione e ho votato “No” convintamente al referendum. La rivendico, e voi me lo dovete consentire, la facoltà di ribadire, per quanto necessario al discorso, il “No” che ho espresso. Non si può pensare a dei sistemi che irretiscano uno dei poteri dello Stato, come sarebbe stato irretito il potere legislativo se fosse stata varata la riforma, perché basta leggere oggi la proposta di legge costituzionale, articolo 70, per comprendere per chiunque abbia praticato qualche volta il testo costituzionale che il potere legislativo veniva irretito e con ciò la sovranità veniva tarpata nella sua principale espressione, perché, fino a prova contraria, il potere legislativo dovrebbe essere quello che regge, guida, indirizza la repubblica, lo stato, la comunità.
Allora, amici miei, io lo dico solo a titolo di esempio e non ho partecipato, come ho detto prima e lo ribadisco adesso, alla fase del dibattito internet, ecc., perché è sempre bene dircele in una sede nella quale ci guardiamo negli occhi e sentiamo soprattutto il contributo che ci danno coloro che pensano delle cose diverse.
Io ho fatto questo intervento per due ragioni: la prima perché vorrei che ci dicessimo, in questa o altra sede o nel convegno o quando vogliamo, quand’è che parliamo delle riforme e come ne parliamo, come e quand’è?; la seconda per stabilire, in termini di grande o della maggior esattezza della quale siamo capaci, coi tempi sufficienti che oggi non ci sono, per capire in quali termini vogliamo che la sovranità del popolo italiano si esprima costituzionalmente parlando o elettoralmente parlando. Dobbiamo occuparci di questi che sono i principi senza i quali Mazzini non c’è. Parliamo di un Mazzini storico, parliamo dei medaglioni, parliamo delle effigi, parliamo di Stagliieno… Per l’amor di Dio, io vengo dalla terra dov’è sepolto, andrò il 10 maggio, ma non è quello. La Mazziniana, lo diceva il Presidente, sta a metà strada, se vogliamo, ma non è quella che porta i lumini, non è MAI stata quella che porta i lumini, non lo è stata per Tramarollo, non lo è stata per Fussi, non lo è stata per tutti gli altri presidenti della Mazziniana e non lo è oggi, l’ha detto nella relazione il Presidente.
È su questi temi che noi dobbiamo concentrarci. Parlare del resto significa non voler più parlare della democrazia in Italia. Difatti, l’unica osservazione che ho fatto alla relazione che ha tenuto stamane il Presidente è stata “Tu che vivi nelle istituzioni, sei ottimista in ordine ai contenuti delle istituzioni. Non c’è più nessuno che ci creda, dentro alle istituzioni, al significato delle istituzioni.” E lui mi ha risposto “Nei quadri intermedi….”. Ma io ho risposto “No, perché bisogna andarci alle udienze tutti i giorni per constatare quanto non ci si creda più.”
Ormai tutti facciamo finta che ci sia il codice di procedura civile e penale, facciamo finta che ci sia l’imparzialità della magistratura secondo i canoni, facciamo finta che il parlamento abbia una sua dialettica di contenuti, anziché di schieramenti o di tornaconti… il cassetto dei voti, quanti me ne vengono. Addirittura si discute sulle leggi elettorali, su cosa possono produrre e quindi su quale sia migliore come sistema. È vero o non è vero? È vero, perché lo leggiamo su tutti i giornali.
Non vogliamo parlarne? Non parliamone, ma allora non siamo più né un’associazione, né un’istituzione, ma soprattutto non siamo più una repubblica. Diventeremo un regno o quello che voi volete, meno quello che Mazzini ha pensato.

Alessandro ANDREINI. Porta i saluti dell’amico Massimo Scioscioli.
Inoltre tratta l’aspetto della valorizzazione di Mazzini. Quando trovo che studiosi, esterni all’Associazione Mazziniana, che ci riferiscono che il pensiero di Mazzini è alla base del pensiero degli Stati Uniti d’America, che Kennedy nel ’63 alla base NATO di Napoli riferiva che il problema più grande di oggi è la potenza nucleare, il pericolo che possa esplodere il mondo, e citava l’espressione di Giuseppe Mazzini “L’umanità è un solo ovile, un solo pastore, occorre proteggerla, non dobbiamo lasciarci sommergere dall’anarchia”, queste sono acquisizioni che noi mazziniani dobbiamo approfondire.
Approfondire perché il pensiero di Mazzini sia diffuso e possa arrivare alle radici della nostra democrazia.
Voi sapete che ci siamo occupati, e ringrazio il Presidente Di Napoli, perché alla Basilica di Santa Croce è stata accolta la nostra richiesta di un’immagine di Mazzini: questo è un momento di valorizzazione massima del pensiero di Giuseppe Mazzini.
Nostro primo compito è proprio quello di diffondere il pensiero di Mazzini, di far sì che questo pensiero possa diventare un patrimonio dell’umanità intera.
A questo riguardo, l’amico Andreini cita il saggio del prof. Luigi Orsini, sull’ultimo numero de “Il Pensiero Mazziniano”.

Propone inoltre di rivolgere un invito di questo tipo all’amico Prof. Luigi Orsini affinché faccia una bozza di costituzione europea da presentare, da proporre nelle sedi apposite.

Afferma infine di aver votato “sì” e condivide fino in fondo le ragioni e i motivi espressi dall’amico Eros Prina sulla valenza del Governo Renzi.

Franco CALZOLARI. Inizia con un apprezzamento alla Sezione di Milano.
Circa le vicende referendarie del 4 dicembre, su cui è stato dibattuto molto, in quel momento si sono viste le due anime della nostra associazione, a favore del “sì” e del “no”, ma quello che è possibile constatare è che tutto ciò non ha lasciato nessuna lacerazione, a differenza di quanto avviene in altre associazioni.

Dopo gli eventi negativi che si sono verificati nel corso del 2016, l’amico Calzolari sottolinea il ruolo che l’AMI potrebbe assumere. Ritiene grave inoltre che oggi la leader May che voglia rompere in maniera irrevocabile il rapporto con l’Europa, ritenendosi libera di fare accordi bilaterali con ogni stato escludendo l’Europa.

Un’altro elemento negativo sono state le elezioni americane. Il nuovo Presidente Trump non riconosce l’Europa come entità.
Infine sottolinea la notizia ultima del regolamento della Pubblica Istruzione per l’ammissione agli esami di maturità con il 6 politico, sulla quale ritiene che l’AMI dovrebbe prendere posizione uscendo con un documento.
Infine propone che l’AMI prenda l’iniziativa di inviare alle scuole, ai docenti scolastici, materiale sui temi del Risorgimento, temi da portare avanti poi anche a livello di sezioni, con un ordine che parte dalla Direzione Nazionale dell’AMI e che intervenga anche con un documento di solidarietà verso questi territori afflitti dal terremoto e dalle slavine.

Giovanni GALLUCCIO
Ringrazia a nome del presidente della Sezione di Trento e ringrazia Renzo Brunetti per la splendida iniziativa precongressuale svolta a Trento.
L’amico Galluccio illustra come sta cercando di collegare la sezione a un percorso di accreditamento nel parterre delle ONLUS trentine, attraverso progetti.
Uno progetto attiene a un tavolo welfare a km 0, finanziante la Fondazione Cassa dei Risparmi di Trento e Rovereto delle network delle Fondazioni Casse dei Risparmi nazionali, soggetto attuatore è la Fondazione Franco De Marchi, un’associazione di assoluta ispirazione cattolica.
Quindi, siccome c’è questo clima di rinnovato tentativo di dialogo fra finanza cattolica e finanza laica e anche di progettualità molto concreta legata ai tagli di trasferimento, se qualcuno è interessato a condividere questa iniziativa, è possibile che questo primo lavoro, a cui la sezione di Trento parteciperà in forma triennale dal prossimo febbraio, in forma di attuazione concreta possa replicarsi su altri territori. Mi limito a enunciarvi il tema che riguarda “NEET”, cioè quella generazione formalmente tra i 14 e i 29 anni, che in realtà si sta drammaticamente allungando, di persone che sono non occupate, che non studiano e non sono in qualche modo attive anche in attività di formazione, quindi persone che sostanzialmente tendono a ritrarsi in un privato fatto spesso di tecno--dipendenze.
Un’altra richiesta che ci è arrivata è quella di contribuire a una sperimentazione a rete dove altre sezioni dell’AMI, se vorranno, potranno aderire. È un app gratuita che si chiama “Shelly”, che potete liberamente scaricare; c’è già un profilo collettivo della sezione AMI di Trento. Questo è un modo di partecipare per singola iniziativa dei singoli cittadini o gruppi di cittadini a segnalare reti di degrado urbano o attività vandaliche e vari altri episodi di violenza metropolitana.

Massimiliano PIFFER.
Sottolinea una carenza, una perdita di quelli che sono i valori, i principi etici e morali alla base di Mazzini. Un Mazzini che se andate all’estero lo conoscono molto meglio che in Italia; all’estero, è studiato a scuola.
Lui considera Kennedy un mazziniano, la frase che più gli piaceva è “Non chiedere cosa lo Stato può fare per te, ma cosa tu puoi fare per lo Stato”.
L’amico Piffer sottolinea che questo è un concetto che, purtroppo, in Italia non c’è. Come non c’è il concetto dell’equilibrio del diritto e del dovere, cosa fondamentale per quanto riguardava Mazzini, perché ogni diritto acquisito non può essere che frutto di un dovere compiuto. E questo è l’errore fondamentale che non hanno assolutamente capito i sindacati, ed anche alcuni imprenditori, e per il quale molti lavoratori sono arrabbiati.

Dobbiamo anche ricordarci che, secondo Mazzini, la base è l’istruzione.
Per quanto riguarda un’analisi sul discorso del referendum, l’unica proposta intelligente che, secondo lui, era stata fatta, era quella di spacchettarlo in sei punti. Ma il referendum è stato utilizzato con slogan e tweet, e la gente non è andata a votare per il contenuto.

Concorda con la Direzione in merito al comunicato a favore della difesa della Costituzione.
Domanda, inoltre, come mai siamo arrivati al punto in cui vincono gli slogan, anche se falsi e ignoranti. Teme che ci stiamo distaccando dalla realtà, com’è già successo per la politica, per l’imprenditoria ed i sindacati.
Nessuno approfondisce, perché fatica.
Ritiene che sia necessario trovare una soluzione per cambiare ed invertire questa tendenza.
Ritorniamo all’istruzione, la scuola, il riuscire a trovare un modo per entrare nelle scuole, perché solo così si potrà avere, tra 10/15 anni, un risultato e poter discutere effettivamente di quei valori, di quei principi, di quelle cose giuste, che ha sentito dire finora, ma che purtroppo tre quarti degli italiani non capiscono.


Daniele MASSARRI.
Innanzitutto, inizio con i ringraziamenti per quella bellissima pubblicazione, per la presentazione di ieri, e voglio pubblicamente ringraziare gli autori e tutti coloro che si sono prestati in questo perché, effettivamente, ha colmato quella lacuna che ieri il nostro Presidente ha così abilmente illustrato.
Faccio un passo indietro per arrivare all’oggi. Cerco di essere estremamente telegrafico, per certi versi sarò pure lapidario.
Concedetemi una brevissima battuta: io mi illudo che l’elezione di un monarchico al Parlamento Europeo serva come ripensamento per la Regina Elisabetta, magari hai visto mai che pensa di tornare indietro.
Comunque, al di là delle battute, stamattina non ho preso la parola perché si era andati lunghi, ma ci torno veramente per un momento, mi ero preparato dei brevi appunti sul “Colloquio mazziniano: lo stato della Repubblica”. Alcuni interventi mi sono piaciuti veramente tanto, li ho veramente apprezzati, ma devo dire che, come si direbbe in termini giornalistici, siamo stati poco sul pezzo. Se levo l’intervento che ha fatto il nostro Presidente, quello di Roberto e quello di Pietro, si è un po’ andati fuori tema sotto certi aspetti. E secondo me, appunto, prendendolo proprio in senso stretto, lo stato della Repubblica se lo esamino da un punto di vista mazziniano, devo dire che è uno stato fallimentare. Perché? Perché penso a quella che era la repubblica del Mazzini e quindi – son parole del 1869 e la repubblica era lontana da venire nel nostro Paese – “La Repubblica non è dilapidazione né spreco, ma è economia di spese e virtuosismo; la Repubblica non è usurpazione governativa, ma è anche il superamento del dualismo tra governo e paese; è armonia tra i due elementi fondamentali, nazioni e comune” e infine – e questo è l’aspetto, secondo me, che oggi manca di più – grazie alla Repubblica ci si affranca da quelli che sono i privilegi della nascita, i privilegi della ricchezza e c’è un accesso, grazie alle virtù e al merito. Ecco perché dico che è uno stato fallimentare quello della Repubblica. Perché se io ripercorro schematicamente questi quattro aspetti, vedo che quella che è stata realizzata è una repubblica “bananifera” dal punto di vista di spreco delle risorse e della dilapidazione del patrimonio. Vedo che, appunto, e lo abbiamo ripetuto sotto vari aspetti, soprattutto in questa campagna referendaria, c’è – eccome se c’è – questo dualismo tra governo e paese, che s’è tradotto, come è stato detto giustamente con un’espressione che mi ha colpito tantissimo, in un “fossato”. È vero! È stato messo un fossato, quasi una trincea tra quello che, in certi ambienti, è chiamato il “Palazzo” e la comunità. Ma soprattutto manca l’aspetto fondamentale, che rendeva la centralità al popolo, alla base della Repubblica, ossia quel riconoscimento di virtù e di meriti e siamo ritornati un’altra volta al riconoscimento della ricchezza e dei privilegi di nascita. Poi diventa uno slogan, sotto certi aspetti, che Renzi cavalcava, dimenticandosi che qualcuno ce l’aveva in casa, quando diceva “Sogno un’Italia dove l’importante è che conosci qualcosa e non che conosci qualcuno”. Poi uno va a vedere i ministri che ha nominato e qualche sospetto che fosse propaganda politica magari ti viene.
Riprendetela come una battuta, d’altronde noi in Toscana abbiamo spesso e volentieri questo viziaccio.
Di queste relazioni sul cosa fare, faccio adesso un passaggio velocissimo sul referendum. Questo referendum, per me, ha rappresentato un momento gravissimo per tre aspetti. Al di là del “sì” o del “no”… chi mi conosce sa che sono stato convintamente fermo sul “no”, ma lo sono stato dal febbraio scorso, quindi dal dopo-Terni in poi io sono sempre stato fermo nelle mie convinzioni, caso mai è aumentato il numero di quelli che ho visto intorno a me, sebbene per ragioni completamente opposte alle mie. Ma, al di là di questo, ci sono tre vulnus, che così si distribuiscono le colpe tanto a destra che a sinistra, uno, appunto, era quello che ricordava il Presidente prima. Cioè ormai è diventato normale, accettato, che, a colpi di maggioranza, si cambi la carta fondamentale dello Stato. E questo, vorrei ricordarlo, è stato fatto negli ultimi vent’anni, in più occasioni, ma questa volta è stato fatto in maniera violenta, addirittura … , e questo è inaccettabile, ma non tanto per dove ha portato, che quello è un di più, è il fatto in sé. Abbiamo sdoganato definitivamente che una qualsiasi maggioranza cambia la carta fondamentale dello Stato a proprio piacimento. E questo è un aspetto.
L’altro aspetto, e qui mi ricollego a quello che diceva Franco prima di Italo Balbo - sapete che io sono un amante degli aspetti particolari, delle curiosità - Italo Baldo, tra le varie cose … Uno degli aspetti che poco si conosce di Italo Balbo è che, nell’ingenuità che, in un certo modo, i picchiatori fascisti potessero essere contenuti mettendo all’indice, cercando di limitare, per non dire annullare, l’utilizzo dei manganelli, arrivano delle direttive ministeriali che vietano l’uso dei manganelli. Italo Balbo cosa fa? Dà dimostrazione di come gli stoccafissi funzionassero perfettamente all’occorrenza. Questa è un’altra cosa che abbiamo visto – ecco come ho usato il parallelismo – abbiamo visto non c’è bisogno di limitare con delle leggi o meno che esistano delle leggi o meno. Quello che giustamente ricordava il Presidente come l’articolo finale della Costituzione in tema di modifiche della Carta Costituzionale è un articolo che è posto a tutela delle minoranze, non della maggioranza. Il fatto che, in ultima istanza, si possa ricorrere al popolo, una volta fatti determinati passaggi, è a garanzia di una minoranza, perché anche la minoranza, raccogliendo determinate firme e passando per l’istituto referendario, possa aver modo di perfezionare un processo democratico alto, non un mercato delle vacche, perché come si sa, al mercato delle vacche, chi alza di più la voce la vacca è sua. Funziona così. E questo è quello a cui stiamo assistendo oggi. Quando a volte mi sento domandare “Ma come mai la politica, i 5 Stelle…”, la regola di fondo è quella lì. Siamo al mercato delle vacche e chi strilla di più la vacca è la sua. Funziona così. Ora è un po’ forte, mi rendo conto. Spesso le lancio anche così come provocazione, però vi invito a una riflessione.
Ultima cosa e vado a concludere. Quest’anno per noi di Piombino è stata un’annata meravigliosa, abbiamo fatto tante di quelle cose che veramente, ogni volta che ci ripenso, mi stanco a pensare alle cose che abbiamo fatto come AMI. Abbiamo fatto cinque conferenze; abbiamo fatto due spettacoli; abbiamo restaurato due monumenti; abbiamo donato un monumento nuovo alla città di Piombino; abbiamo fondato un giornale; abbiamo, infine, realizzato un calendario che alcuni di voi hanno ricevuto.
In tutto questo, e Nicola lo sa bene perché me ne ha portate delle altre che quelle che avevamo non bastavano, è aumentato notevolmente il numero, ma mica perché abbiamo la fabbrica dei mazziniani, che entrano dalla porta ed escono fuori mazziniani. È che però abbiamo tutta una serie di persone, e questo è il senso del mio intervento per cui ho chiesto la parola - al di là di queste considerazioni o bischerate, sceglietelo voi – che andando dentro alle scuole, andando nei circoli, andando nei teatri, andando, andando, andando, scrivendo, scrivendo, scrivendo, abbiamo avvicinato tutta una serie di persone, alcune delle quali hanno confessato che non conoscevano neanche l’esistenza della nostra associazione. Provate un po’ a pensare al bacino di utenza.
Io ci sono due sindromi dalle quali cerco di preservami in salute, una è la sindrome di Gino Paoli, “Eravamo quattro amici al bar”, e l’altra è la sindrome della stufa all’Equatore. Una stufa, se funziona perfettamente, può essere il miglior modello di stufa, la stufa più perfezionata e più tecnologicamente avanzata di tutte, ma, se la portate all’Equatore, non serve a un tubo. Questo per dire, e io sottoscrivo ogni singola parola dell’intervento che ha fatto questa mattina Pietro Caruso, perché l’alternativa a quello è la stufa all’Equatore. È un gruppo di persone che parla al proprio interno dei propri problemi, ma che no va verso l’esterno.
Io spero che si riesca veramente, in maniera abbastanza violenta, a invertire certe rotte e certe dinamiche e mi sembra anche che da Terni in poi, devo darne atto, un percorso comunque diverso sembra si sia cominciato a fare.
Grazie a tutti.

Milena MOSCI.
Io sono Milena Mosci. Come credo qualcuno di voi sappia, sono stata delegata dall’Associazione per partecipare alle sedute italiane del Movimento Europeo che si sta, per modo di dire, prodigando per l’organizzazione delle manifestazioni per il 25 marzo prossimo.
Prima di interloquire sugli altri temi proposti da Mario, vi volevo dare qualche aggiornamento su questo, che mi pare doveroso. Ci sono state una serie di riunioni che dovrebbero portare alla stesura di un documento finale da presentare in occasione di questa data importante, che al momento non hanno prodotto granché di concreto, questo perché il CIME è un’organizzazione abbastanza “ingessata”, o per meglio dire, decisamente auto-referenziale, in cui i meccanismi di decisione, di confronto e quant’altro sono piuttosto confusi e nebulosi. Questa è una cosa di cui, con il Presidente, abbiamo già avuto occasione di discutere, ma ovviamente non starci dentro non è neanche pensabile e conoscerne tutti i limiti è comunque positivo.
Abbiamo in programma delle riunioni prossime venture, che forse dovrebbero portare a una definitiva stesura di quelle che dovrebbero essere le iniziative per la manifestazione e il documento che dovrebbe andare in porto, in via definitiva. Vi dico soltanto che normalmente ci vengono mandate delle bozze, alle quali noi replichiamo dando delle indicazioni, per poi scoprire che viene posto in discussione un altro testo, che è stato poi rimaneggiato in riunioni non si sa bene convocate da chi e con chi e per come, il giorno prima dell’assemblea. Ecco questo è, più o meno, l’andazzo del Consiglio.
Però questo è emblematico, secondo me, di una carenza di cui questa mattina si è parlato molto, ossia della carenza delle classi dirigenti, perché è un modo di agire che poi non porta molto, ma consente a tutti di sentirsi un pochino importanti. E questo è un problema grosso, un problema di cui questa mattina abbiamo parlato e che io richiamo, non a caso, perché trovo che sia, in qualche modo, una contraddizione abbastanza forte essere tutti d’accordo, perché mi pare che questa mattina fossimo tutti su questa lunghezza d’onda, che la classe dirigente e politica e imprenditoriale-economica e intellettuale – forse questa ancor più delle altre – sia fortemente deficitaria, soprattutto sono classi dirigenti vecchie, vecchie di pensiero, che non solo non sono al passo coi tempi, ma men che meno sono proiettate al futuro. Checché se ne dica, io prendo un esempio – ne prendo uno - anche della discussione che alcuni relatori hanno fatto questa mattina della demonizzazione della rete. La rete ha dei limiti certamente forti, la rete, come tutte le cose – non esistono cose completamente neutre – può essere utilizzata in modo positivo e in modo negativo, ma è ormai e sarà una costante del nostro futuro, è inutile rifiutarla. Bisogna saperla utilizzare, bisogna cominciare a ragionare sul fatto che le nostre decisioni future, qualunque esse siano, saranno condizionate anche da questo mondo che ci è attorno.
Questo chiama in causa il problema della classe dirigente e lo chiama in causa perché una classe dirigente deve stare, ripeto, non solo al passo coi tempi, ma oltre i suoi tempi. E noi dobbiamo farla crescere. Se accettiamo l’idea che non abbiamo una classe dirigente… scusate io capisco la necessità che abbiamo di riforme e mi auguro, francamente, considerati i disastri, a livello giuridico, che stanno combinando da anni a questa parte, che di riforme questa classe dirigente attuale, assolutamente deficitaria e insufficiente, non ne faccia più. Le riforme le dovrà fare un’altra classe dirigente, che sia al passo con questo mondo e con quello che verrà, che sia con la testa avanti, non con la testa non si sa bene dove.
E questo io credo sia il compito principale dell’AMI, quello di cominciare a far crescere una nuova classe dirigente, nei limiti delle sue possibilità. Nessuno di noi si illuda che siamo noi l’ago della bilancia, che siamo noi quelli che possono fare la differenza, ma possiamo contribuire a farla la differenza. Non pretendiamo assemblee costituenti formate da gente che ha già dimostrato la sua assoluta incapacità di leggere il mondo.
E allora, se dobbiamo ragionare in questi termini, io riprenderei alcune suggestioni che ci ha dato oggi, per esempio, Roberto Balzani, sulla necessità della lettura dei territori, e comincerei come AMI a riorganizzarci in modo da favorire una crescita diversa, in modo da favorire un’alfabetizzazione delle giovani generazioni. Io appartengo ancora ad una generazione che ha imparato a cercare le notizie, a ragionare, a conoscere con altre metodologie, che non erano la rete. Oggi so discernere tra le bufale e la realtà, so farla questa comparazione. Altri non hanno questa fortuna. Forse questo è uno dei compiti che ci possiamo porre come AMI.
Possiamo porci anche l’obiettivo, come AMI, di dare spazio nei nostri dibattiti a relatori un tantino più al passo coi tempi di quelli che abbiamo avuto questa mattina. Mi dispiace doverlo dire, non deve suonare come una critica nei tuoi confronti, nei confronti delle scelte che tu hai fatto.
Scusatemi. Io posso riconoscere la cultura, la conoscenza, quello che volete voi, ma in molte delle cose che sono state dette questa mattina non ho sentito assolutamente dalle persone che ho ascoltato - a parte Roberto Balzani –una parola utile per capire in che direzione si muoverà il futuro. Ma non è colpa di chi è intervenuto, è semplicemente che fanno parte di un’altra fase della storia.
Allora cominciamo noi per primi a dare spazio a chi sta un po’ più in là con la visione, a chi ha un po’ più di prospettiva, ma perché è la vita che è così, non è questione né di pregiudizi né di quant’altro. In fondo, è la vita che è così.
Grazie.

Antonello MASCIA.
Sono Antonello Mascia, presidente della sezione AMI di Cagliari.
Devo dire che da molto tempo ho riflettuto su una cosa. Che quando in Italia ci sono momenti di crisi economica, politica, ecc., si sollevano sempre problemi di cambio di legge elettorale e di cambi istituzionali. Ma questo già nell’800, quando dinanzi alla prima crisi dello stato unitario, ovvero ai tempi di Crispi e subito dopo, Sonnino scrisse quel suo famoso articolo “Torniamo allo statuto” per la Nuova Antologia.
Io ho votato convinto per il “no” alla riforma, senza se e senza ma, anche se devo dire che partecipando ad un Comitato del No, dopo aver sentito qualche discorso, veniva ogni tanto voglia di votare “sì”. Ma questo lo dico come battuta. Poi ho smesso di frequentare quel comitato e quindi ho votato come detto.
Francamente devo dire che la riforma non mi spaventava più di tanto, nel senso che credo che molte delle critiche che sono state fatte fossero critiche esagerate. Però era una riforma pasticciata e addirittura per una cosa che riguardava noi sardi, veniva modificato lo Statuto Regionale della Sardegna, che è una legge costituzionale, con una procedura diversa da quella prevista dallo Statuto, tanto per dire.
Però io penso che noi dovremmo affrontare un altro problema. Cioè, non possiamo affrontare i rapporti tra legislativo ed esecutivo risalendo ai sacri testi di Montesquieu, perché con la formazione dei partiti, retti più o meno dalla disciplina di partito, non possiamo essere così ingenui da pensare che il Parlamento possa controllare il Governo. Il compito di controllare il Governo, e quindi anche la maggioranza parlamentare, spetta all’opposizione. E qui era, secondo me, uno dei punti mancanti della riforma costituzionale, in cui non si parlava di nessuno statuto dell’opposizione, non si davano all’opposizione dei poteri autonomi, addirittura si demandava ad un provvedimento parlamentare che però veniva adottato dalla maggioranza parlamentare. Tanto peggio se pensiamo alla legge elettorale, all’Italicum, che da una parte da un premio sproporzionato alla maggioranza – non significa di per sé che una maggioranza formata in quel modo sia compatta. Ma cosa succede? Che, al contrario, mettendo una clausola di sbarramento molto bassa, avremmo i seggi riservati all’opposizione frammentati fra tutta una serie di partitini che chi conosce la storia costituzionale era la stessa situazione della legge Acerbo. E questo è il fatto negativo.
Ma un altro fatto che io reputo molto negativo, ed è l’ultimo argomento e poi chiudo, va oltre le singole norme o le singole riforme costituzionali pensate o proposte, ma è un’atmosfera che si è creata nel Paese, che veniva citata anche questa mattina. Quante volte abbiamo sentito dire da persone di qualunque orientamento politico da destra o sinistra “Ma questo è un Governo non eletto. L’ultimo Governo eletto è stato quello di Berlusconi.” Perché Monti non è stato eletto, Renzi non è stato eletto, Letta non è stato eletto e l’attuale Gentiloni non è stato eletto.
Signori, la Costituzione è chiara: il Presidente del Consiglio dei Ministri è nominato dal Presidente della Repubblica e deve godere la fiducia del Parlamento. Ma quello che c’è di grave, in questa mentalità, è il disegno che in alcuni c’è. Un’elezione diretta, perché viene imposto al Capo dello Stato di nominare una determinata persona Presidente del Consiglio significa che quel Presidente del Consiglio non può essere sfiduciato. L’opposizione, lo disse una volta Luppi quando era sempre nelle trasmissioni televisive, una volta che si fanno le elezioni deve andare a casa, perché con le elezioni si è scelto chi governa e chi va a casa. È la negazione della democrazia rappresentativa.
Ma peggio ancora. Il Parlamento non può sfiduciare questo Governo, la magistratura non può indagare su un uomo che è stato eletto dal popolo, la Corte Costituzionale non può dichiarare incostituzionali leggi approvate dal Parlamento che è stato scelto dal popolo.
Con l’affermazione di questi principi siamo fuori non dalla democrazia rappresentativa, ma dallo stato di diritto.

Paolo LOMBARDI.
Vorrei dire tantissime cose per quanto ho sentito adesso e quanto ho sentito questa mattina, ma mi limito ad alcune considerazioni.
Ora, io difendo, ovviamente, la decisione dell’AMI di votare “no” al referendum; io ho sempre parteggiato per il “no”, sono anche andato in giro a spiegarlo nei comitati, quindi lo difendo convintamente e del resto il motivo, se vogliamo, perché fa parte un po’ del DNA dei nostri discorsi, prioritario alla base di tutto forse è anche quello che è emerso dal Congresso per cui la Direzione aveva svolto un mandato, in quel momento, preciso, ossia che riforme di questa portata abbisognano comunque di una Costituente e non possono essere fatte così.
Ma non voglio soffermarmi sul referendum. Se ne è parlato tanto in tanti, tante volte ne ho parlato io, per cui sono discorsi ormai perfettamente noti e ritengo anche, se vogliamo, di retroguardia.
Non condivido la necessità… cioè nei discorsi referendari lo si diceva, adesso si dice “Bisogna comunque arrivare a fare le riforme costituzionali”, le altre riforme bisogna organizzare nel Paese quello che si vuole. Stiamo attenti su questo, perché, in realtà, io ritengo che il discorrere di riforme costituzionali e tutto quello che vogliamo non è altro che l’alibi della classe politica che non è capace di fare politica. Siccome non è capace di fare politica, dice “Il colpevole non sono io, la colpa è delle regole che qualcuno mi ha dato”, queste regole non mi permettono di liberarmi, di fare quello che io voglio fare, per cui…
È la classe politica che deve essere evidentemente cambiata, perché le regole, che ci sono, possono essere magari modificate in qualche contesto, non lo metto in dubbio, ma le regole, che ci sono, sono universali. Quante volte abbiamo detto che la Costituzione della Repubblica Romana è l’antecedente della nostra Costituzione, verrà un giorno la Costituzione Europea che sarà il riflesso, speriamo, della Costituzione Italiana. Se la Costituzione Europea deve essere il riflesso della Costituzione Italiana, allora mi auguro che la Costituzione Italiana non debba essere ribaltata. Creiamo un continuum, non pensiamo di buttare via tutto con discorsi molto semplici, poveri e improvvisati.
E così dico anche che dei discorsi di stamattina mi è piaciuto molto quello di Balzani, laddove diceva che, in realtà, questa classe politica è incompetente – lo dico nel pieno rispetto della classe politica, perché ritengo che l’attività politica sia un’attività assolutamente nobile e basilare, quindi non faccio un discorso di buttare tutto alle ortiche – quando diceva che questa classe politica è una classe politica incapace, perché non è capace di leggere il presente, non è capace di interpretarlo.
Ed è vero e io ci aggiungo un ulteriore elemento che deve connotare i mazziniani, cioè noi mazziniani - devo dire, purtroppo, perché ci dà molto scoramento spesso, ma meno male, perché ci dà spesso anche molto entusiasmo – noi mazziniani dovremmo in realtà essere dotati di una virtù particolare, cioè la virtù profetica, cioè la virtù, grazie al fatto di saper leggere il presente, di saper dire dove si deve andare.
È una cosa che abbiamo innata, amici. Se noi siamo mazziniani è perché questa esigenza la sentiamo, sentiamo l’esigenza di dire dove si deve andare, dove dobbiamo andare a parare, di leggere il mondo che c’è adesso per, nel contempo, essere in grado di leggere anche il mondo che verrà. Questa virtù profetica è un patrimonio, una caratteristica, che noi abbiamo.
Quello che allora, secondo me, manca oggi, e vi invito a riflettere perché possa connotare il nostro comportamento, è individuare gli elementi che ci possono portare a dire dove il mondo deve andare. Se noi prendiamo il contesto storico-culturale di Mazzini, sostanzialmente erano due, tre le cose fondamentali: la creazione di un’unità politica superiore, democratica, e il livellamento delle disuguaglianze sociali.
La nostra organizzazione nasce durante la guerra, quando cioè il contesto è il medesimo, quando si parla di ricostruire - perché avevano previsto che sarebbe finita e finita in un certo modo - e si trattava di ricostruire su basi di uguaglianza.
In questo momento, secondo me, le coordinate storiche sono molto simili, perché abbiamo una disuguaglianza sociale a livello italiano, europeo e mondiale che è spaventosa, e in più abbiamo una disgregazione politica in atto e lo vediamo nella fuga dall’Europa, la vediamo, al nostro interno, nelle contese disgregatrici dell’unità nazionale.
Questa disgregazione deve portarci a dire che noi, invece, dobbiamo ragionare in maniera esattamente opposta e se noi non usciamo in questo momento storico, che è una grandissima messa alla prova per noi, secondo me è difficilissimo che noi riusciamo a trovare un nuovo momento storico più favorevole. Può sembrare un paradosso. Cioè il momento di crisi, di nostra crisi, in realtà è il momento in cui noi dobbiamo sentirci esaltati per l’attività futura.
E aggiungo questa ulteriore considerazione, che è paradossale, ma che può anche indicarci l’idea della luce al di fuori dal tunnel, ossia la carenza della partecipazione giovanile. Dicevo paradossale, perché in un mondo di disgregazione, di grandissima disuguaglianza di redditi e di disuguaglianza sociale, è il mondo giovanile quello che si deve fare sentire, perché è proprio il mondo giovanile che vive queste disuguaglianze e sa che sulla base dei rimedi a queste disuguaglianze deve impostare la società futura.
Per cui è altamente preoccupante che in un’Associazione come la nostra, che ha questa missione e che deve essere capace di leggere il presente per interpretare il futuro, la partecipazione giovanile sia effettivamente nulla. Non dico zero, ma io guardo alla platea. Non sto dicendo che dobbiamo guardare ai giovani, perché giovane è anagraficamente più titolato di me, sto dicendo che il discorso deve essere giovane, perché poi il giovane venga da noi.
E allora in ogni momento della nostra attività politica, dobbiamo avere in mente due cose fondamentali: eliminazione delle disuguaglianze e unità politiche sempre più vaste, cioè l’Europa e quello che ci sarà dopo l’Europa.
Questo mi porta a dire che, appunto, le riforme istituzionali sono già un retaggio del passato, le nostre riforme istituzionali, perché ormai le istituzioni nazionali contano pochissimo, perché già dovremmo essere proiettati alle istituzioni europee. Ci potrà essere un fenomeno disgregativo immediato, quello che vogliamo, che durerà anni, non lo so, ma proprio per quella virtù profetica che dobbiamo avere, lì ci si deve comunque arrivare. E siccome lì ci si deve comunque arrivare, allora dobbiamo combattere per la Costituente Europea, non per la Costituente Italiana. È questa la battaglia politica europea. Quella Costituente Europea affinché sia eletta con sistema universale e che porti quei principi di uguaglianza di cui prima parlavo. Avete letto in questi gironi i report sulle condizioni economico-patrimoniali e sociali del pianeta e ci sono sette persone che hanno la ricchezza di metà dell’umanità. Io è da parecchio che insisto su questa cosa: è uno stato socio-economico che, in altri ambiti e in altri tempi, avrebbe portato alla rivoluzione. Ma siccome noi siamo fatti per evitare che le rivoluzioni ci siano, perché sono sanguinarie, cerchiamo di evitare di arrivare alle rivoluzioni che chissà domani dove porteranno. Ma è su queste cose che dobbiamo insistere.
Per cui io adesso non so come potrà svolgersi concretamente l’attività della nostra associazione sotto questo profilo, ma secondo me è assolutamente necessario un progetto capillare sul territorio, cioè occorre proprio descrivere delle basi del pensiero socio-economico del Maestro e interpretarle in chiave moderna, per vedere che cosa vuol dire oggi governare un’impresa, cosa vuol dire oggi fare cooperativa. Sono tutte cose che servono.
Ci sono tanti modi di vivere le cose, anche difendendo il Jobs Act, ma non compiacersi del fatto che si può licenziare, ma compiacersi, magari, del fatto che si può lavorare di più, che ci sono più assunzioni. Non arrivare a questi punti.
Posso fare una domanda? Ma questo Governo è stato ringiovanito rispetto ai precedenti oppure no?
Anagraficamente. È la mentalità che deve essere giovane. Secondo me, Renzi, nonostante i suoi 41 anni, era il più vecchio di tutti. Lui ha occupato uno spazio dicendo che… Nel 2013, io ho fatto parte di un comitato per Renzi. Lo dico e confesso il mio peccato. Visto che non ho pregiudizi, dopo un anno, dopo averlo visto alla prova, mi sono detto “Non ne voglio più sapere.” Sono contento che se ne sia andato. Ma se tu mi dici che Renzi era il più innovativo ti dico di no. Era giovane anagraficamente, era paurosamente vecchio dal punto di vista politico e dei rapporti istituzionali. Il più vecchio di tutti. Preferisco De Mita, De Mita è più giovane di Renzi nel modo di …

???
Sono arrivato qua col sorriso, perché in effetti questa nostra seduta, non so se per la presenza anche di componenti non della Direzione Nazionale, è abbastanza anomala rispetto alle nostre solite, forse meglio, ma comunque abbastanza anomala. A volte, nelle nostre Direzioni Nazionali, c’è la relazione del Presidente durante la quale, come ha fatto oggi, propone iniziative e poi termina con una relazione politica che poi diventa il documento che conclude i lavori. Questa volta, forse per la presenza di altri amici, forse per il fatto che stamattina c’è stato uno stimolante dibattito, non so, ma la relazione mi è sembrata un attimino diversa e io, a questo punto, dico una cosa. Non so se sia un’esigenza solo mia, perché in tal caso dovrei risolverla da solo, ma se non è solo mia, forse vale la pena che l’affrontiamo.
L’Associazione Mazziniana un tempo “si accontentava” di fare qualche manifestazione, di stare molto attenta alle ricorrenze e basta. Da qualche anno, intende essere più presente sull’attualità, cosa che mi sembra giusta e opportuna. Infine, sta venendo avanti un discorso, che va in qualche modo definito, anche perché purtroppo non possiamo fare mille cose, su quale sia la funzione principale dell’Associazione Mazziniana. Avendo capito che probabilmente il problema base è l’insufficiente educazione dei governanti e, conseguentemente, del popolo italiano, dobbiamo incentrare la nostra attività su questo? Cioè dedicarsi all’educazione non vuol dire, banalmente, andare nelle scuole, fare il piccolo concorso a premi. Vogliamo fare di questa educazione il nostro obiettivo attuale? Allora se questo è il primo obiettivo, è inutile che stiamo ad impegnarci in discorsi sulle riforme costituzionali, e quali e come, e la Costituente, ecc. No, come diceva Lombardi giustamente, con questa classe politica è meglio che non facciamo niente sostanzialmente.
Allora se non dobbiamo fare niente, non facciamo niente su questo argomento e ci mettiamo ad educare e facciamo gli educatori. Che devo dire? Dobbiamo decidere qualcosa, non possiamo pensare di far tutto, perché non ce la facciamo proprio, anche a livello di priorità delle attività.
Perché noi, e termino subito, sul discorso del referendum e delle riforme istituzionali ci siamo comportati benissimo. Abbiamo fatto delle critiche, di metodo e di merito, partendo dal famoso Articolo 70 – ma non solo quello – e quindi, facendo delle critiche, abbiamo sostanzialmente detto che non ci piaceva questa riforma, non abbiamo aderito a comitati di nessun genere, non abbiamo fatto il partito politico. Siamo a posto. Ecco, su questo argomento, se vogliamo andare avanti, allora a questo punto, partendo da lì e partendo anche da un’ipotesi che era stata fatta, quasi di sfuggita, e non sufficientemente approfondita che se vogliamo superare il bicameralismo perfetto, una delle due Camere, ad esempio il Senato, dovrà avere funzioni diverse, ossia che un ramo del parlamento deve avere funzioni di garanzia. Probabilmente, possiamo approfondire questo aspetto.
Ma se diciamo anche che non si può far nulla finché non abbiamo una classe politica adeguatamente istruita, allora smettiamo di fare e dedichiamoci all’educazione.

Massimo BERTANI.
Mi chiamo Massimo Bertani e vengo da Pesaro. A corollario dei nostri colloqui, che lasceranno molti di noi nei pensieri, nei giorni prossimi, cercando di trarre una morale dai vari interventi, chi accorato chi polemico, volevo aggiungere un contributo riagganciandomi anche a quanto riferiva prima Lombardi rispetto al problema delle differenze di stato sociale e di disuguaglianza.
Finché continuiamo a usare queste terminologie, noi non riusciremo ad incidere proponendo delle dinamiche di pensiero penetranti.
In realtà, questo aspetto, per me, è uno dei primi aspetti che tu hai citato, ma che identifico come auto-sufficienza economica. Noi abbiamo un problema di auto-sufficienza economica, che genera che le nostre azioni di singoli cittadini, di comunità, di apparati e di stato avvengano sotto un capo. In che senso? Nel senso che non potendo e non avendo la disponibilità economica sufficiente per essere a livello paritario nell’ambito delle discussioni e delle scelte, dobbiamo ripiegare alla disponibilità per i terzi che ci viene proposta. E questo ci porta a uno stato di subordinazione.
Come uscire da questo? Se pur brutto, collego questo stato di inferiorità e di subalternità all’interno del nostro Paese rispetto alla comunità internazionale. Aggiungo che, in realtà, il nostro Paese non controlla per intero il nostro territorio, sotto il profilo della legalità – e mi riferisco alle sacche della malavita organizzata sia come apparati sia come controllo del territorio. E io sfido chi nella comunità economica veda di buon occhio il fatto che l’Italia abbia un ruolo dominante o perlomeno paritario.
Quindi come uscire da questa negatività? Certo è che tutte le alchimie e tutte le elaborazioni di carattere istituzionale e sociale arriveranno a cozzare contro questo fatto; cioè la non-autosufficienza economica che ci rende dei soggetti minori o anche minorati, in certi casi. Quando poi la lettura della Costituzione ci porta all’Articolo 1 “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Allora se noi non coniughiamo la necessità di porre all’ordine del giorno l’autosufficienza economica, che non è una rivendicazione di classe, ma è la condizione minima per poter essere un soggetto con pari dignità, che è ciò che manca al popolo e alle istituzioni, come potremo porci come soggetti paritari?

Silvio POZZANI.
Già questa mattina, vi ho tediato, quindi cercherò di essere il più breve possibile. Al di là del fatto di doversi confessare, che non mi pare il Presidente sia nel physique du rôle, fra l’altro è vestito di rosso, quindi non lo vedo come confessore. Qui è evidente che c’è chi ha deciso in un senso e chi ha deciso in un altro. Ci sono stati interventi stimolanti. Non solo l’amico Bertani che tenta di dare una risposta a tutte le ansie che abbiamo, ma anche Brunetti, Paolo Lombardi.
Noi abbiamo le carte in regola su questo discorso della riforma, perché io mi ricordo il Congresso Nazionale di Genova del 1974 – un po’ indietro nel tempo – ha prodotto un volumettino “Crisi e riforma del sistema politico italiano”. Correva l’anno 1974.
È vero che avevamo qualche riferimento in Parlamento, perché c’era il Partito Repubblicano Italiano, che al di là di tutti i limiti di un partito politico, era il più vicino alle nostre impostazioni, alla nostra convinzione che riguarda Mazzini, l’Italia e anche l’Europa – non dimentichiamola, anzi la prospettiva è quella.
Abbiamo fatto un altro Congresso Nazionale, vivo ancora Tramarollo, nel 1980 a Terni “La repubblica assediata: attuazione o riforma della repubblica”, che voleva dire sistema parlamentare riformato o sistema presidenziale.
E questo è stato il grande dilemma che ha lacerato, in un certo momento, il Partito Repubblicano, ma anche l’Associazione Mazziniana. C’erano notevoli esponenti, c’era Leo Valiani, c’era Randolfo Pacciardi, che erano presidenti dell’??? già nel 1946/48 nella Costituente, però avevamo capito che in quel momento… Lo diceva Randolfo Pacciardi, me lo ricordo.. però ritenevo che uscita l’Italia dall’esperienza fascista, pensavo che non potesse permettersi assolutamente di non fare così, ossia scegliere un sistema parlamentare.
Quindi abbiamo le carte in regola come Associazione. Non è che abbiamo trovato tanti interlocutori, all’interno del Partito Repubblicano non abbiamo trovato granché. C’era qualcuno che era più sensibile alle nostre posizioni e quindi ci offriva un po’ di appoggio, ma anche quando avevamo questo ausilio, ma… Cristina Vernizzi giustamente mi diceva “Certo che se riuscissimo ad avere una qualche rispondenza nel parlamento attuale”. Allora qua c’è il discorso del sistema politico, c’è il discorso della classe politica. Ma qua è tutto impossibile.
“Poche e caute leggi, ma vigilanza attenta nell’esecuzione” – Mazzini, 1849; “La Repubblica è quel governo in cui nessuno può rubare impunemente” – Mazzini, 1870.
Non ci siamo da questo punto di vista, perché Renzo Brunetti, già stamattina, parlava della decrescita della repubblica. Non crescita, non è cresciuta, ma anche è tornata indietro la società civile. È questo il dramma. Poi giustamente l’amico Piffer rilevava che l’analfabetismo non è che sia un fenomeno ormai sconosciuto in Italia. A parte che c’è un milione di persone che non sa tenere una penna in mano, poi qualche altro milione sa fare a malapena la propria firma e poi ci sono questi che non riescono a mettere insieme un discorso che non sia fatto di quattro parole. Questo è un dramma, poi aggravato dal fatto anche del mondo giovanile, perché è chiaro che dobbiamo puntare sui giovani e qualcuno riesce ancora a recepire il messaggio di Mazzini, il messaggio personale di Mazzini, perché qualcuno nel grande mare magnum di internet arriva a Mazzini, all’Associazione Mazziniana, legge Mazzini e rimane folgorato. C’è anche questo fatto, lo abbiamo sperimentato direttamente, ed è un fatto di grande rilevanza, di grande auspicio, perché vuol dire che un uomo, che è vissuto 200 anni fa, riesce ancora ad avere qualcosa da dire.
Ma se noi valutiamo la desolazione che abbiamo davanti, siamo fregati.
Allora dobbiamo cercare giustamente, come dice Paolo Lombardi, di puntare sui giovani. Però, guardate che è venuta fuori una cosa… Pochi giorni fa, lo avrete letto sui giornali, hanno scoperto un gran traffico di libri ceduti a metà prezzo. Gravissimo.
Allora Renzi, al di là dell’errore madornale che, secondo me, ha fatto di andare a personalizzare il referendum, cosa che non si doveva assolutamente fare, come del resto, per me, ha fatto benissimo l’Associazione Mazziniana – l’avevo detto un anno fa - a rimanere fuori ufficialmente da queste cose, perché altre associazione come l’Associazione Nazionale Partigiani di Italia credo che abbia ricevuto solamente discredito da come si è inserita e mossa all’interno del dibattito sul referendum. Questa è una mia opinione personale, suffragata, comunque, dal fatto che ne siamo rimasti fuori, ciascuno ha fatto la propria scelta e questo ci ha, secondo me, giovato come associazione, non ci ha portato nessun tipo di discredito.
C’è stato questo fatto, e con questo chiudo… è stato scoperto che Renzi ha pensato di dare 500 euro a tutti quelli che compivano 18 anni, senza nessuna garanzia. Allora io sono d’accordo a dare 500 euro a uno che compie 18 anni, ma gli dico “Vuoi 500 euro? Te li do, però tu mi dimostri che segui un piccolo corso, qualche lezione, leggi magari – ecco qua che manca lo Stato – leggi una dispensina, in cui ci sono contenuti gli elementi fondamentali di un’educazione repubblicana”. Eh sì, si torna sempre lì, poi volentieri io do i 500 euro. Faccio un esamino… ci vuole un impegno. “Nil sine studio”, niente senza impegno.
Invece è saltato fuori che con questi 500 euro, compravano i libri, non li leggevano e poi li rivendevano a metà prezzo sottobanco. Questo è finito su internet, perché si credeva che rimasse segreto, invece alla fine tutto viene fuori.
Allora, senza illuderci tanto, io ritorno alle due realizzazioni che, secondo me, al di là di tutte le altre iniziative, l’AMI ha prodotto “Il cuore della Repubblica”, che, secondo me, è un libro che, oltre a essere una benemerenza, va utilizzato, perché è la storia di 70 anni di un’associazione, nata nel buio che sappiamo, come del resto la Giovine Italia era nata nel buoi che sappiamo. Sempre un manipolo di persone che, nel caso del 1831, era dominata da questa personalità eccezionale, da quest’uomo profetico, da quest’uomo che il dono della profezia ce l’aveva, che sapeva vedere lontano. E quindi, secondo me, deve essere sfruttato per il 70° della Repubblica. Quello che la Repubblica non ha fatto, e lo ribadisco, quello che la Repubblica Italiana non ha finora fatto per celebrare il suo 70° e quindi tutta la storia, che è una storia profondamente intrecciata con la storia nazionale.
E l’altro, permettetemi perché abbiamo anche partecipato in prima persona, con un relatore fondamentale che è Stefano Biguzzi, il convegno su Cesare Battisti a Trento.
In questo paese siamo arrivati al punto che di Irredentismo e Interventismo non si può più parlare, non se ne poteva più parlare in passato e non se ne può parlare ancora oggi, se non per esaltare il grande e benefico impegno e modello dell’Austria-Ungheria e di Francesco Giuseppe, di cui ricorre il centenario della morte. Io ritengo che sia stata una benemerenza questa dell’Associazione Mazziniana e sempre nella linea della profezia.
Cosa possiamo fare noi ancora di più? Una piccola associazione come la nostra che si mantiene a stento? Cerchiamo di studiare in questo senso, di impegnarci in questo senso. “Il cuore della Repubblica” lo presenteremo anche altrove, lo presenteremo a Roma il 25 marzo, ci sarà Antonio Carioti.
Facciamo del nostro meglio. Chi ha idee, si faccia avanti. Chiaro che chi non fa, non sbaglia.
Grazie.

Cristina VERNIZZI.
Una breve informazione. A Torino, nel luglio di quest’anno, si ricordano i 100 anni del monumento a Mazzini. Pensate, inaugurato nel 1917 da un gruppo di mazziniani che hanno sfidato le autorità, perché tra loro c’era anche quel Terenzio Grandi, che era stato messo in prigione per evitare eventuali disordini pubblici, in una giornata assolata in cui, naturalmente, c’era il Principe di Piemonte. Per cui, dicono le cronache – e lo dicono poi le documentazioni d’archivio -, i mazziniani si fecero in disparte e non aderirono all’inaugurazione che avvenne poi nel pomeriggio, quando le autorità sabaude se n’erano andate, si appropriano del loro monumento e finalmente poterono anche cantare il “Fratelli d’Italia” inneggiando a quei principi che, in quel momento, erano messi al bando. Ecco, noi faremo questo e vedremo di organizzare una cerimonia adeguata, perché stiamo già cercando di interessare anche le autorità locali.
Una breve osservazione su quanto è stato detto oggi. È stata messa moltissima carne al fuoco su tutti quelli che sono gli elementi su cui l’Associazione potrebbe lavorare. Dico potrebbe, perché, probabilmente, le armi che noi abbiamo, al di là della buona volontà, del volontarismo, dell’idea di diffondere tutte queste idee, di più forse non riusciamo a fare, salvo forse, ed è quello che in parte mi fa collegare a quanto ha appena finito di dire l’amico di Bologna, formare una classe politica. Dopo che sono finiti i partiti, sono finite le formazioni della classe politica. Questi politici improvvisati, che vengono fuori da scuole così mal formate e così mal strutturate, che garanzia ci danno che potranno essere veramente i continuatori di qualcosa in cui noi crediamo, quella democrazia, che qui aleggia in varie maniere e in vari modi. Che fiducia possiamo avere in un’Europa mandata avanti da persone che, com’è stato visto nelle cronache di questi giorni, te la disdicono un giorno e te la confermano il giorno successivo. Quindi, io penso che tra gli elementi che noi dovremmo fare di sensibilizzazione, sarebbe senz’altro quello di divulgare, certo, tutto quanto è stato detto sulla riforma… Per inciso, la disoccupazione giovanile. Se non c’è una riforma del lavoro, come può esserci un’occupazione stabile giovanile? È impensabile. E la riforma del lavoro non viene fatta e le aziende, piccole o grandi che siano, continuano a chiudere e vanno all’estero. Ci sono dei motivi economici e commerciali per cui tutto questo avviene e su cui nessuno prende provvedimenti.
Dicevo, questa classe politica. Si parla di scuola. Benissimo tutto quello che è stato detto, io lo sottoscrivo, perché ho voluto e voglio continuare a fare attività all’interno di un convitto che mi consenta di parlare direttamente e di dialogare con insegnanti e con giovani, però è molto difficile. A loro interessa molto l’attualità, ma un’attualità molto breve, l’800 non c’è più nella loro attualità, non c’è più nemmeno il ‘700. E quindi si fa molta fatica per educare nella scuola e, a maggior ragione, quella classe politica, a cui noi dovremmo affidare le sorti nostre e di quelli che verranno dopo di noi. Perché se non esiste una classe politica degna di questo nome, che faccia una polis non per interessi personali, ma che sia quella mazziniana, per il bene comune, noi non sapremo a chi consegnare questa nostra società.
Quindi, io penso e mi viene il dubbio, che rimetto a voi, se non sia davvero necessario, affinché i nostri sforzi abbiamo un esito veramente concreto, che non si possa adottare un politico, anche se è fuori dal nostro percorso tutto questo. Però quando si va nella storia, si dice “In quel momento, i repubblicani fecero così, i socialisti fecero cosà”. I mazziniani, oggi, cosa possono dire, cosa possono fare, se non sono supportati da qualcuno che abbia il potere di parlare e di far sentire la sua voce?
Grazie.

Alessandro AUGURIO.
Volevo fare innanzitutto una considerazione, che in pratica è già iniziata oggi con questi colloqui, che qualcosa che forse non avevamo intravisto, grosso modo, al congresso è che, in effetti, stiamo assistendo al fatto che è lo stato della repubblica, o meglio lo stato della democrazia che sta cambiando a livello europeo, a livello centrale, come se, da una parte, avessimo le costituzioni che sono state fatte tenendo conto di una democrazia rappresentativa, dall’altra parte un processo strano, che a volte si richiama alla democrazia diretta e a volte è anche schizofrenico. Abbiamo situazioni in cui si va a votare con percentuali altissime di astensione, poi magari per certi argomenti c’è una forte partecipazione.
Quindi sono cose su cui ritengo sia opportuno concentrarsi. In questo periodo, fare una fotografia dello stato della democrazia, quello che sta cambiando, tenendo conto dei cambiamenti sociologici, politici, culturali. E poi, soprattutto, fotografare lo stato di quella che sarà la politica estera del futuro, cioè con quello che sta accadendo, la politica estera sarà sempre più una politica estera machiavellica, di opportunismo e di prevaricazione. Questo è il problema principale.
Se prima, magari, noi facevamo affari con autocrati, con dittatori per risorse energetiche, poi magari c’era la parte finale “Sì, però lo stato dei diritti umani, ecc.”, ora non ci sarà più nemmeno quello. Quindi questa è una situazione molto preoccupante. Dobbiamo come associazione fare una fotografia anche del problema della gestione dei rapporti internazionali che sta accadendo. Ne parlavo prima con Caruso. In effetti, noi stiamo assistendo a una sorta di nuovo periodo tipo “Bet or Loose”, cioè un cambiamento globale a livello economico, a livello internazionale, quindi qualcosa sicuramente possiamo e dobbiamo dire.
Riguardo all’Associazione, sono consapevole che non c’è più un partito di riferimento e che molti scalpitino per fare di più, però ci sono associazioni in tutti i paesi, ad esempio in Germania c’è l’Istituto Schopenhauer. Noi abbiamo la particolarità che abbiamo un grande pensatore, che ha un pensiero dannatamente politico, questo però non significa ovviamente che l’Associazione debba trasformarsi in un partito politico o debba fare politica. Però, una domanda che mi viene rivolta spesso a Napoli, anche nell’associazione è “Ma poi voi giovani cosa fate dopo?”. Cioè, nel senso che qui avviene il momento di formazione… Diciamo che si dovrebbe affrontare il problema, ma l’Associazione può fare un gancio, ma poi con chi? Nel momento in cui si dialoga con qualcuno, si scende sul campo politico oppure, altrimenti, fai formazione per tutti. Cioè i ragazzi vengono qui, si formano, poi prendono la propria decisione e decidono dove collocarsi politicamente.
Questo è un problema abbastanza spinoso, cioè far parte di un’associazione come l’Associazione Mazziniana. Noi possiamo scendere in piazza per i principi, ma non possiamo scendere in piazza per il singolo programma politico, perché poi altrimenti la funzione stessa dell’associazione diventerebbe abbastanza ambigua.
Quindi, magari, questo periodo potrebbe essere un momento per riflettere, per capire come voi potete indirizzare noi giovani sotto questo aspetto politico. Chi vuole domani fa il politico, ma magari invece qualcuno si iscrive all’associazione solo per fare cultura, per fare ricerca. Però se vogliamo fare un discorso di classe dirigente, è ovvio che almeno noi siamo spiazzati. Cioè se io dovessi indicare un partito dove collocarmi, per me non c’è.
Quindi, ripeto, io rimango sempre dell’idea dell’associazione politica, ma apartitica, che è una cosa abbastanza differente.

Daniele MASSARRI.
Sono sicuro di darvi una notizia che come mazziniani vi renderà estremamente orgogliosi. Prima ho cercato di sintetizzare al massimo parlandovi di tutte le cose che si sono fatte e, appunto, ho accennato al calendario. E la prof.ssa Bracco parlava appunto della funzione pedagogica del mazzinianesimo e con questo calendario, con una sola fava, abbiamo preso tre piccioni. Il primo, contemporaneamente in più di 200 famiglie italiane, o meglio più o meno in giro per tutta l’Italia, ma prevalentemente nella zona Piombino – Val di Cornia, mese per mese abbiamo fatto proprio quest’opera pedagogica, vale a dire febbraio la Repubblica Romana; marzo la morte di Mazzini; aprile l’AMI e la Resistenza; giugno la Festa della Repubblica; luglio la commemorazione della Giovine Italia; agosto l’Irredentismo – prima si parlava di Cesare Battisti, ma agosto fu il mese in cui venne impiccato Nazario Sauro -; settembre la Breccia di Porta Pia e la laicità; ottobre il compleanno dell’Inno d’Italia; novembre l’Interventismo e i Mazziniani nella Grande Guerra; in dicembre ho messo quello che si può fare per l’Associazione Mazziniana, quindi ho parlato del 5 per mille, ho scritto che è possibile fare le liberalità deducibili, ecc., ossia come ci possono sostenere. Vi ho messo a vivo un anno di mazzinianesimo, guardate quante cose facciamo, se sotto Natale vi ricordate di noi tanto meglio: questo è il messaggio subliminale. Ma il terzo piccone qual è? E penso che questo vi renderà orgogliosi. È il fatto che tutto il ricavato di questo calendario, oltre ad aver fatto questa doppia missione, lo abbiamo investito e inviato a La Isabela. Cos’è La Isabela? È la più antica città del Nuovo Mondo, si trova nella Repubblica Dominicana, ai confini con Haiti, è il punto in cui arrivò Cristoforo Colombo quando scoprì l’America. La Isabela è una città che fu fondata nel 1493 e, ovviamente, prese il nome da Isabella di Spagna ed ebbe un momento di grandissimo splendore. Immaginate da lì partì tutta quella che fu poi la colonizzazione, fu il primo enclave cristiano, ecc. Per contro, adesso, stanno vivendo, per tutta una serie di situazioni e, in ultimo, il terremoto e le inondazioni, una povertà assoluta. Grazie al ricavato di questo calendario e di questa azione che abbiamo fatto, per la quale io busso cassa anche qua, abbiamo fondato nella prima città del Nuovo Mondo, da ora, grazie a questo calendario, il Padrinado Giuseppe Mazzini, che non è nient’altro che la replica di quello che fu fatto da Giuseppe Mazzini a Londra, ovvero una scuola, le vecchie scuole di paese dove si prendevano queste masse di bambini analfabeti dalla prima fino alla terza media, divisi in maniera un po’ approssimativa, ma comunque da oggi esiste questa realtà. Quindi, dall’altra parte del mondo c’è il Padrinado Giuseppe Mazzini nella prima città del Nuovo Mondo. Attualmente sono 103 bambini.

Nicola POGGIOLINI.
Si potrebbe fare come per le adozioni a distanza che l’Associazione Mazziniana invia un piccolo contributo, perché con un modesto contributo fanno tante cose, e continuare a tenere aperto questo Padrinado. Io penso che l’Associazione possa accettare una proposta di questo genere.
Intendo che il lavoro non deve essere solo sulle spalle della sezione di Piombino, ma coinvolgere l’AMI come Direzione Nazionale. Cioè trovare nelle pieghe del bilancio, un piccolo contributo da sommare a quello che mettono insieme loro e rendere un po’ più consistente quello che doniamo.

Mario DI NAPOLI.
A conclusione di questo dibattito, credo che possiamo tutti quanti considerare positivo che ci sia stata una vera occasione di libero confronto e di scambio civile di opinioni, che mi fa piacere poter registrare. Così come io ho sempre ritenuto che l’Associazione non dovesse dividersi tra berlusconiani e anti-berlusconiani, non verrò certo a ritenere che l’Associazione si debba dividere tra renziani e anti-renziani. Abbiamo accettato questo tipo di discorsi, perché fanno parte del libero confronto, ma non attengono evidentemente al merito dell’attività dell’Associazione che non è pro o contro un leader politico.
La nostra riflessione prosegue e, come accennavo prima, oggi l’obiettivo numero uno è garantire al paese una legge elettorale e ritengo che l’Associazione debba fare un appello, che io proporrei in questi termini: “La Direzione dell’AMI fa appello al Parlamento perché, nel più breve tempo possibile, faccia uscire il paese dalla presente condizione di sospensione dell’esercizio della sovranità popolare, dovuta alla mancanza di una legge elettorale omogenea per entrambe le Camere, a seguito dell’esito referendario e alla luce del pronunciamento della Corte Costituzionale. Lamenta ancora una volta come la riforma elettorale del 2005 abbia scavato un fossato fra eletti ed elettori, che ha fortemente indebolito la democrazia rappresentativa. Auspica che le forze parlamentari trovino il senso di responsabilità necessario per superare gli interessi presumibili di un immediato tornaconto ed assicurino all’Italia un sistema elettorale che tenga in equilibrio il principio della rappresentatività e quello della governabilità ristabilendo il circuito fiduciario tra cittadini e istituzioni, che è l’anima della Repubblica.”
Questa è una proposta che io faccio come dichiarazione della Direzione che mi sembra ponga questo obiettivo primario. Poi il resto, ma intanto questo è il minimo.

Volevo fare soltanto una considerazione. Perché questo appello non può essere abbinato alla nuova legge elettorale, visto che ne ha parlato anche Brunetti e visto che il più anti-partito dei partiti, Forza Italia, Romani nel parlare sulla fiducia ha detto “Noi vogliamo che ci sia la regolamentazione della vita dei partiti”, l’ha detto Romani. E c’è un disegno di legge del PD.
Allora, siccome noi vogliamo arrivare alle prossime elezioni con la legge elettorale nuova, perché non arrivarci anche con dei partiti organizzati in maniera più civile nel predisporre le liste?

Mario DI NAPOLI.
È una cosa che abbiamo detto altre volte. Adesso inserirle in questo documento, attenuerebbe il senso del messaggio.
Una legge elettorale omogenea per entrambe le Camere. Con il bicameralismo perfetto non può essere omogenea.

Nicola POGGIOLINI.
Allora mettiamo in approvazione. Chi approva? La maggioranza.

Mario DI NAPOLI.
Come diceva anche Renzo Brunetti, ovviamente non è che il tema delle riforme è finito. D’altra parte, è un pungolo che esiste nel paese. Io condivido che oggi, mi sembra sia un’osservazione fatta anche da Lombardi, è più importante quello che succede a livello europeo, e ci tornerò, però comunque esistono delle disfunzioni del sistema istituzionale. Del resto, Bossari ci ricordava che già da 40 anni l’Ami riflette su questo e quindi io credo che come ci riflettiamo da quarant’anni, dobbiamo continuare a rifletterci.
Io credo che abbia sintetizzato bene la situazione l’amico Piffer, quando ci ha ricordato la situazione – che poi invece sarebbe stato saggio – dello spacchettamento, che la materia referendaria era talmente vasta, che era difficile dire… uno poteva essere mezzo per il “sì” e mezzo per il “no”. Ecco perché il “sì” e il “no” è stata una scelta per tutti difficile e complicata, perché indubbiamente c’era del bene e c’era del male. Ecco perché io dicevo che non era questa la strada per la revisione.
E, in un certo senso, quello che c’era di buono dovrebbe essere recuperato, perché indubbiamente rientrerebbe in un…
Ora non è quello dell’attualità. È evidente che non potrà più essere questo parlamento a mettere mano né a riforme istituzionali né a riforme costituzionali e quindi questo sarà un lascito per il prossimo parlamento.
E altrettanto concordo, ed è anche molto bella la suggestione di farci promotori di una Costituzione Europea, perché effettivamente qui è il tema. Ora, indubbiamente, il tema che oggi ci fa preoccupare è proprio la disgregazione dell’Europa, cioè noi oggi andiamo a celebrare il 60° dei trattati, ma, in realtà, con un’Europa fortemente in crisi, perché pressata da un’America che va in una direzione diversa, da una Russia che ha chiaramente interesse a indebolire l’Europa, perché ha temuto che l’Europa europeizzasse l’Ucraina, e non dimentichiamoci che un’Europa, libera e democratica, ai confini della Russia è una minaccia per il regime sostanzialmente autocratico che governa la Russia. La Russia ha fatto la battaglia contro l’Ucraina europea proprio per impedire che la liberale democrazia europea arrivasse ai suoi confini. Non delle dimensioni che sono tre staterelli baltici che stanno là, ma di un paese enorme come l’Ucraina che, invece, in qualche modo fa parte della Russia, è staccata, ma ne è in qualche modo una componente essenziale di tutta la sua storia e di tutta la sua tradizione.
Ora, oggi l’Europa paga il gravissimo errore fatto rinunciando alla Costituzione Europea precedentemente elaborata. Quella Costituzione, per quanto difettosa, faceva però un primo passo importante, che è stato troppo velocemente eliminato – certo, anche in quel caso, alla luce di alcuni referendum in Francia e in Olanda, ma referendum che sono stati in un certo senso voluti, perché ha fatto piacere a tutti che quella Costituzione non si facesse. In primis, alla Germania della Merkel, la quale ha voluto a tutti costi non fare la Costituzione, boicottare la Costituzione, proprio per immaginare questa Europa a guida tedesca.
Ora, anche questo progetto di Europa a guida tedesca ho l’impressione che nell’attuale scenario globale rischi fortemente. Io mi auguro che i tedeschi rinsaviscano e capiscano che questo loro disegno egemonico, per cui loro, in fondo, hanno messo gli uni contro gli altri, perché chi ha creato questa contrapposizione tra i Paesi del Nord e i Paesi del Sud Europa? È stata proprio la Germania, che ha alimentato questa contrapposizione, di cui in fondo loro sono stati in qualche modo i mediatori e gli artefici.
Io mi auguro che questo disegno egemonico, che non appartiene alla storia dell’integrazione europea, che invece è sempre stata portata avanti sulla base di un principio paritario, venga accantonato alla luce dei più pericolosi scenari che si vanno profilando, che sono scenari di disgregazione, e che a questi si risponda con uno sforzo di maggiore integrazione, soprattutto tra Francia, Italia e Germania. Perché, arrivando al nocciolo del problema, il resto dell’Unione Europea è ancora molto lontano. L’importante è che questi tre paesi agiscano in modo tale da creare una vera integrazione politica.
Certo, oggi tutti i segnali sono in direzione diversa, però io concordo con l’idea che proprio nelle situazioni più critiche, certe cose che appaiono molto di là da venire, possano invece acquisire una loro fattibilità, proprio perché favorite dai rischi che incombono sulla nostra strada. Per cui probabilmente, non domani, non quest’anno che ci sono le elezioni, ma l’anno prossimo, secondo me, potrebbe essere il momento buono per far maturare una situazione tale da riaprire il cantiere per una Costituzione Europea o perlomeno per una maggiore integrazione politica tra i principali paesi.
E noi, come Mazziniani, dobbiamo lavorare in anticipo. Possiamo lavorare e darci da fare in questa direzione.
Voglio poi raccogliere l’ultima osservazione dell’ultimo intervento di Alessandro Augurio, che è uno dei giovani che sta animando la rete della Giovine Europa, insieme ad altri che ci sono. È vero che noi scontiamo un gap generazionale, ma è anche vero che stiamo lavorando su questo terreno e qualche risultato lo abbiamo ottenuto. Ora noi siamo una scuola di educazione politica e non generazionale, siamo un’associazione di educazione politica a tutto campo e quindi non possiamo chiaramente militare partiticamente, ma al tempo stesso ci siamo sempre posti questo tema ed esiste questo tema della mancanza di una rappresentanza. Non tanto del collateralismo, perché l’AMI, in realtà, anche ai tempi del Partito Repubblicano, era molto meno collaterale di quanto si possa immaginare, anzi spesso era in dissenso. Ma si pone il problema di una rappresentanza non dell’AMI in quanto tale, ma della cultura politica laica, che oggi non ha una sua rappresentanza politica. Quindi è evidente che benché l’AMI non abbia la vocazione a diventare un partito, perché corrisponderebbe a snaturare l’AMI, è anche vero che qualunque nostra iniziativa è politica e noi non rinunciamo alla dimensione politica. E al tempo stesso dovremmo, secondo me, - e l’abbiamo fatto in passato, ma potremmo anche riprenderlo - essere sensibili a questo tema, al tema, cioè, che nel paese deve rinascere una forza politica di ispirazione laica. Questo è un tema di cui l’AMI non può essere protagonista istituzionale, ma di cui i mazziniani, individui singoli, devono essere partecipi e quantomeno porsi il problema.
Poi chi ha volontà di fare politica, anche se non c’è una forza politica in cui si riconosce pienamente, è libero di fare le sue scelte e di militare, come molti di noi militano nei presenti partiti politici, all’interno dei quali si possono portare avanti e far valere idee anche di stampo mazziniano.
Ma ribadisco che come non c’è stata in passato, e se c’è stata era sbagliata, non è la prospettiva del collateralismo che anima l’AMI. Certo, tanto per non far nomi, un partito come il Partito Democratico sarebbe felicissimo se noi facessimo un passo verso il Partito Democratico, perché sono alla ricerca di… Noi possiamo interloquire con quella e con altre forze politiche, ma dobbiamo però interrogarci effettivamente se il sistema politico italiano sia oggi consegnato alle attuali coordinate o se, invece, non sia ormai aperta una campagna molto diversa, che potrebbe riaprire notevolmente gli scenari attuali, a cui – ripeto – dobbiamo restare sensibili, perché è vero che l’AMI non è un partito, ma l’AMI non può ignorare che l’assenza di una rappresentanza della cultura politica della democrazia laica e repubblicana è un obiettivo impoverimento del Parlamento.

p.5) Varie ed eventuali (ratifica nuove adesioni)
(anticipato dopo l’introduzione del Presidente)

Esauriti tutti gli argomenti, la seduta è tolta ad ore 19.30

La SEGRETARIA VERBALIZZANTE IL PRESIDENTE
Chiarella PENNUCCI Mario DI NAPOLI


Chiarella PENNUCCI Mario DI NAPOLI