C’è posto per i mazziniani nella società del XXI secolo? Ha ancora
qualcosa da dire alle donne ed agli uomini della generazione 2.0 un
pensiero politico formatosi due secoli fa in tutt’altra temperie storica
ed alimentato nel tempo dalla sola luce dell’Ideale? La fede nella
democrazia, l’aspirazione alla giustizia, la passione civile sono forse
anticaglie del passato da relegare nella soffitta delle pie illusioni?
Simili interrogativi non sono certamente nuovi e sono stati senz’altro
nutriti a più riprese, ogni volta che i nostri predecessori si sono
trovati a fare i conti più acutamente del solito con la dura realtà che
non manifestava alcuna disponibilità a conformarsi alle loro utopie.
Oggi, tuttavia, essi risuonano con una nota di maggiore gravità che non
può passare inosservata. La ragione è che molti dei punti di
riferimento, che hanno a lungo accompagnato il percorso a zig-zag della
democrazia italiana, sembrano essersi appannati senza dare segno di
alcuna possibile rianimazione. La politica, una volta considerata la più
nobile delle arti in cui l’uomo possa esplicitare la sua natura
sociale, quella che avremmo scritto con la “p” maiuscola, non solo ha
smarrito la sua funzione di progresso, ma pare condannata ad essere una
sorta di “male oscuro” che contagia tutti quelli e tutto quello che ne
viene a fare parte.
L’Europa unita, il sogno di pace e di prosperità del
vecchio continente finalmente resosi consapevole nel secondo dopoguerra
di condividere un destino comune, sta crollando sotto i nostri occhi
per i colpi incrociati della crisi monetaria e delle migrazioni di
massa. La stessa Costituzione repubblicana, divenuta la pietra angolare
del residuo sentimento nazionale degli italiani, è da più di un decennio
oggetto di riforme ora inopinate ora disorganiche e sta finendo per
ridursi a terreno di scontro politico mettendo seriamente a repentaglio
la sua funzione di massima fonte di legittimazione del sistema
democratico.
A fronte di un tale quadro, peraltro approssimato per difetto, la
risposta negativa risulterebbe inappellabile, se non ci confortasse la
ricerca di un livello più profondo dell’analisi dei fenomeni
socio-politici, in cui siano individuati e denunciati impietosamente gli
errori compiuti da quando, alla caduta del muro di Berlino, siamo stati
chiamati ad aggiornare le nostre categorie. Se la Costituzione è in
crisi, è colpa da un lato della sua mancata attuazione in alcuni ambiti
qualificanti tra cui lo statuto pubblico dei partiti e dei sindacati,
dall’altro della sua mitizzazione come “la più bella del mondo” alla
stregua di una sacra scrittura invece che di una carta fondamentale
sottoposta al pari di ogni istituzione umana al divenire storico.
Se
l’integrazione europea si rivela inferiore alle aspettative, è colpa da
un lato della vischiosità delle sovranità nazionali di classi dirigenti
che vedono sempre più restringersi i margini del loro potere, dall’altro
dell’acquiescenza acritica con cui si è fatto crescere un europeismo di
mera facciata fortemente centralista. Se la politica ha perso
drammaticamente credibilità, è colpa da un lato della corruzione
dilagante del sistema dei partiti che non hanno opposto resistenza agli
interessi economici, affaristici e criminali, dall’altro della
strumentalità dei cosiddetti “contropoteri”, dalla magistratura
all’informazione, che hanno preferito giocare in proprio una sorta di
supplenza piuttosto che attenersi alle loro funzioni costituzionali.
Ma che cosa impedisce di andare alla radice delle questioni e quindi
sviluppare soluzioni invece che adagiarsi sterilmente nell’invettiva,
ormai padrona assoluta del dibattito pubblico, che non è poi altro che
una forma solo più chiassosa della rassegnazione? C’è un nodo troppo
trascurato, anche se in realtà alquanto eclatante, che non viene mai
adeguatamente problematizzato, vale a dire l’interazione tra la crisi
politico-istituzionale e la trasformazione tecnologica ed informatica
della società. Va da sé che non è la prima volta che l’umanità affronta
un cambiamento epocale, ma oggi quel che fa la differenza è il fossato
che si amplia tra le generazioni, l’affievolirsi della memoria storica,
la rottura della continuità dello Stato.
L’Italia vive più pesantemente
tali circostanze dal momento che, a differenza di altri paesi, la
funzione di mediazione tra i cittadini e le istituzioni, che è vitale
perché una democrazia non sia soltanto formale, sembra ormai
irrimediabilmente compromessa. In altri contesti nazionali, hanno
assolto a tale ruolo i corpi intermedi, le tradizioni di governo locale,
le burocrazie, talora anche le monarchie. In Italia, anche a causa
della tardiva unificazione e della relativa debole legittimazione,
soltanto nel secondo dopoguerra il rapporto tra cittadini ed istituzioni
ha trovato una cinghia di trasmissione in un soggetto sia pure
imperfetto come sono stati i partiti politici.
Nel bene e nel male, per
alcuni decenni, almeno sino al fallimento del centro-sinistra, essi
hanno colmato una lacuna, promuovendo la selezione della classe
politica, l’equilibrio tra i poteri costituzionali, lo sviluppo
economico e civile, la gestione degli interessi contrapposti. Questa
funzione storica, pur svolta tra alterne vicende e contraddizioni, si è
via via esaurita trasformando il punto di forza del sistema politico nel
suo punto di debolezza ovvero di massima vulnerabilità. Da allora,
l’Italia vive un vuoto di volta in volta riempito da improvvisati
“uomini della provvidenza”, movimenti populistici, tecnocrati a mezzo
servizio, ingenerando quel sentimento di inarrestabile declino del Paese
che sta facendo ripiegare gli italiani nell’egoismo, nel materialismo,
nel relativismo.
RIFONDARE LA REPUBBLICA è allora il motto che come mazziniani
italiani lanciamo per il prossimo congresso che terremo a Terni nel mese
di novembre, proprio per risvegliare la coscienza nazionale e
riannodare la relazione fiduciaria tra cittadini e istituzioni, parlando
il linguaggio della verità. E’ venuto il momento di archiviare la
retorica dell’antipolitica, prendendo atto che la democrazia è chiamata
in tutto il mondo ad affrontare una sfida epocale che può essere
affrontata soltanto sulla base della consapevolezza dei suoi limiti. Là
dove i partiti politici hanno fallito, le culture politiche mantengono
ciononostante i loro valori che possono essere riaffermati dalle
associazioni come l’AMI che hanno tutte le carte in regola per rianimare
il dibattito pubblico, ripartendo dalle fondamenta, cioè dal principio
fondamentale della Repubblica che risiede in una costituzione vivente,
fatta di un popolo realmente sovrano, di istituzioni realmente
rappresentative e di una classe politica realmente governante.
Nell’Italia del XXI secolo, il pensiero mazziniano può quindi
contribuire significativamente all’educazione politica, vale a dire alla
ridefinizione della cittadinanza repubblicana che implica termini oggi
assai poco praticati: il senso di appartenenza alla comunità, il
diritto-dovere del lavoro, l’impegno civile, l’auto-formazione, la
partecipazione al voto ed alla vita pubblica. Queste sono le
caratteristiche che distinguono una Repubblica repubblicana da una
semplice forma di governo non monarchica, una democrazia sostanziale da
una formale, una società viva ed operosa da una ripiegata su se stessa.
Una politica rilegittimata che sia capace di indirizzare il
cambiamento in una logica di governo della complessità, un’Europa
federale e solidale in grado di affrontare la globalizzazione in quanto
soggetto unitario, una Costituzione attuata nella sua integrità e
recuperata nella sua dimensione di catalizzatore democratico sono gli
obiettivi che come mazziniani ci proponiamo per ripristinare il tessuto
morale della Repubblica e che porteremo avanti con la consueta
determinazione che ci viene da una gloriosa tradizione etico-politica
che ha ancora molto da dire per riallacciare le fila del presente e del
passato con l’avvenire.
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